Addio a Gae Aulenti

Il primo di novembre è morta, nella sua casa milanese, la signora dell’architettura italiana, autrice di importanti progetti in tutto il mondo.L’abbiamo vista lo scorso 16 ottobre in Triennale, dopo un lungo periodo che non appariva in pubblico, dove, con Vittorio Gregotti amico e collega sin dagli anni ‘50 quando frequentavano il Politecnico di Milano, è stata insignita della Medaglia d’Oro alla Carriera. Ci siamo resi conto di quanto fosse provata dalla malattia e, con una stretta al cuore, abbiamo capito che difficilmente saremmo riusciti ad ottenere l’intervista per festeggiare anche noi di Art Talks, il prossimo 4 dicembre, i suoi 85 anni. Avremmo voluto avere il piacere e l’onore di parlare con una persona curiosa ed arguta, amante delle arti nella loro molteplice articolazione ma, soprattutto, in grado di lasciare il proprio contributo a molte di esse, incarnando perfettamente il motto di Gropius “dal cucchiaio alla città”.
Raffinata, sobria sino quasi a rasentare l’austerità, è riuscita a trasferire queste qualità nelle sue opere, senza mai cedere a gesti grottescamente scenografici solo per compiacere le nuove tendenze e senza mai posare la matita nemmeno in questo ultimo periodo, come ha testimoniato la figlia in questi giorni di lutto, lasciandoci l’immagine di una professionista che amava il proprio lavoro e che non ha mai esaurito lo spirito creativo. In uno strano rimando di coincidenze e ricorrenze, il 10 novembre si inaugura uno dei suoi ultimi lavori: lo scalo aeroportuale di Perugia dedicato a San Francesco di Assisi.
È stata la degna prosecutrice della lezione dei grandi maestri con cui ha avuto modo di lavorare, di un modo di fare architettura che dietro a ogni lavoro impone una profonda ricerca culturale: tra tutti Luigi Caccia Dominioni, Giuseppe Samonà ed Ernesto Nathan Rogers che la volle nella redazione di Casabella-Continuità.
Friulana di nascita ma milanese di adozione, aveva lo studio affacciato su piazza San Marco e non era raro, soprattutto nei tempi passati, vederla attraversare le viuzze di Brera con il suo passo spedito e il tubo dei disegni a tracolla come una studentessa di architettura. “Milano ci accoglieva sempre con un tentativo di sintesi interessante (…)a Milano si sono sempre incrociate tesi forti, che sono state discusse” aveva detto durante il suo discorso di ringraziamento in Triennale. Milano, attraverso i suoi rappresentanti istituzionali ed i suoi amici le ha voluto rendere omaggio domenica 4 novembre nel Ridotto della Scala, il teatro che ha sempre frequentato sia come spettatrice che come autrice delle scenografie di importanti allestimenti.
Avevamo preparato la traccia della nostra intervista, sapendo che, se avesse accettato, le sue argute risposte ci avrebbero portato ampiamente fuori dagli schemi tracciati; non avremmo voluto parlare solo di architettura, dal vanto che fosse proprio un’italiana ad aver realizzato il Musée d’Orsay – la cattedrale degli Impressionisti, grande fiore all’occhiello della cultura d’oltralpe – alle polemiche che ancora circondano la sistemazione di piazzale Cadorna in città, né l’avremmo buttata troppo sul girl power rivangando le difficoltà di una donna nel farsi largo in un mondo che ancora oggi è gravato da pesanti tracce di maschilismo. Piuttosto avremmo preferito ascoltare con che spirito avesse affrontato i grandi progetti lanciati negli anni ’80 conscia della responsabilità che questi interventi avrebbero cambiato il volto di importanti città europee come Parigi, Barcellona, Siviglia e Milano, riscendo a primeggiare in concorsi internazionali cui prendeva parte il gotha dell’architettura mondiale.
Giocando sulle varie declinazioni di questo nostro sito avremmo voluto rivangare i tempi del Laboratorio di Prato (1976-1978), di quando con Franco Quadri e Luca Ronconi dava vita ad esperienze totalizzanti ed off sia per gli attori che per gli spettatori. Avremmo lodato la sua straordinaria abilità di rendere lo spazio scenico con pochi elementi, essenziali ma significativi, per chiederle cosa manchi al teatro oggi: e non ci riferiamo solo ai finanziamenti, pensiamo piuttosto lungo quali percorsi ci si possa indirizzare per fare sperimentazione nel XXI secolo.
“Scusate, grazie” sono le ultime sue emozionatissime parole in pubblico ma in realtà siamo noi che le siamo debitori per il grande contributo alla cultura italiana ed al dibattito architettonico globale che ci lascia in eredità. “Grazie a Lei, architetto”, avremmo voluto urlarle mentre si allontanava defilata, reggendosi al braccio di Gregotti, quando tutti ancora si attardavano a vedere la mostra.

Silvana Costa

Gae Aulenti (1927-2012)
www.gaeaulenti.it