Valerio Paolo Mosco, nell’introduzione al nuovo libro edito da Skira, asserisce di volersi cimentare nella redazione di un testo di storia critica dell’architettura italiana degli ultimi quarant’anni. Ai lettori l’ardua sentenza sull’esito dell’operazione.
Crediamo sia giusto porsi obiettivi alti: in fondo è proprio così che la specie umana ha avuto modo di evolversi. Eppure la definizione “storia critica” ha l’amaro sapore dell’ossimoro e fa balenare nella mente l’immagine di una chimera imprendibile. È infatti impensabile riuscire a fare un bilancio storico della contemporaneità, valutare in tempo reale come e quanto le speculazioni teoriche e gli edifici reali diverranno precetti per i posteri. È ancor più complesso ponderarlo quando a influenzare il giudizio possono intervenire la capacità comunicativa del progettista, la campagna promozionale predisposta dal committente, il prestigio del fruitore finale, l’impiego delle innovazioni tecniche e l’immancabile valore aggiunto conferito da una qualsiasi eco label.
Valerio Paolo Mosco con il libro Architettura italiana dal postmoderno ad oggi ridà vita alle diverse stagioni del fare l’architetto in Italia e, al contempo, rafforza i miti che affollano l’immaginario collettivo. All’elenco delle grandi mostre di architettura, incluse le Biennali veneziane, segue quello dei professionisti-intellettuali, figli di una generazione illuminata, in grado di catalizzare l’attenzione della critica mondiale sia con progetti sia con scritti teorici, e poi largo all’epica diatriba tra gli storici Bruno Zevi e Manfredo Tafuri, quest’ultimo firma di punta della rivista Casabella negli anni in cui è diretta da Vittorio Gregotti (1982-1996).
Gregotti che nell’intervista concessa a Stefano Bucci in occasione dei suoi novant’anni, pubblicata sul Corriere della Sera del 7 agosto 2017, ricorda così l’incontro con Frank Lloyd Wright: “L’ho incontrato in Italia, era un uomo piccolo di statura con un grande cappello, mi hanno presentato come un giovane architetto italiano moderno e lui ha detto: «Perché, esiste un’architettura italiana moderna?»”. Valerio Paolo Mosco, parafrasando Pierluigi Nicolin, individua appunto nel forte attaccamento al passato e nella conseguente reticenza verso il movimento moderno le ragioni che consentono alla cultura architettonica italiana di abbracciare la corrente postmoderna, ritrovandosi così, una volta tanto, in posizione di avanguardia mondiale. Architettura italiana dal postmoderno ad oggi si apre quindi con prospettive culturali gloriose, si sofferma sulle figure dei Maestri, si sviluppa in una carrellata di vicende del recente passato ed elabora macro categorie in cui suddividere i progettisti di punta del panorama attuale – i “soliti noti” – più quattro outsider tutti da scoprire. Il tomo si conclude tratteggiando una visione per il futuro in cui la figura del critico non solo acquista importanza ma viene addirittura ritenuta “necessaria” per indirizzare gli architetti italiani alla riconquista del ruolo che gli spetta nel mercato globale. Le ultime righe del volume non solo confermano le ragioni del nostro scetticismo sulla possibilità di fare una riflessione storica sulla contemporaneità ma lo trasformano in una tesi atta a giustificare la presenza dei critici nella società odierna, quasi caricandoli di poteri salvifici.
Ci sono libri memorabili con incipit consegnati alla memoria collettiva. Se anche questo fosse il caso di Architettura italiana dal postmoderno ad oggi, terminata la lettura del volume, ci sentiremmo in dovere di definire la riflessione posta in apertura quantomeno illusoria. Far notare al lettore la quasi perfetta sincronia tra l’uccisione di Aldo Moro e l’inaugurazione della mostra Roma interrotta ideata da Piero Sartogo è un accorgimento narrativo saccente. Esplorare il rapporto tra una classe politica immobilizzata da tensioni ideologiche e un panorama culturale già proiettato verso il divertissement degli anni Ottanta si prospetterebbe interessante eppure Mosco non va oltre la semplice constatazione della coincidenza dei fatti. Proseguendo nella lettura ci si imbatte in altri passaggi in cui l’autore rileva il legame tra attualità e architettura ma, di nuovo, non va oltre la mera citazione della concomitanza degli eventi. Di capitolo in capitolo accenna, senza approfondire, alla scelta del realismo quale “metafora del ruolo politico di un’architettura chiamata a contribuire alla programmazione del paese”; alle linee di pensiero di Casabella associate ai valori del Partito Comunista e della sinistra storica; all’opulenza degli anni Ottanta quale generatrice di innumerevoli concorsi di idee in cui dar sfogo a visioni futuribili, straordinari esempi di “architettura disegnata” e nulla più; alla rigida regolamentazione dei lavori pubblici quale conseguenza del terremoto che porta alla caduta della Prima Repubblica; alle grandi aspettative professionali per l’apertura del Mercato Comunitario.
Come ogni testo critico, Architettura italiana dal postmoderno ad oggi non è un punto di arrivo ma una base di discussione per quanti avranno voglia di andare oltre la manciata di frasi baroccheggianti con cui l’autore liquida i progetti più significativi elaborati in queste ultime quattro decadi. Giudizi che, soprattutto nel caso dei Maestri, paiono viziati da stereotipi consolidatisi nel tempo senza revisione alcuna: esempio preclaro è l’apologia di Renzo Piano, la cui Morgan Library svetta in copertina. Pur condividendo l’apprezzamento per il percorso professionale di Piano riteniamo che nella fase attuale della tarda maturità egli offra esempi di autoreferenzialità tali da interrogarci se sia giusto continuare a guardare a lui per veder tracciata la strada verso il futuro. Un futuro che, a voler proiettare in là negli anni i valori registrati nel passato, si prospetta tutto al maschile. In un Paese in cui la presenza delle donne in politica e in posizioni di potere ha dovuto essere imposta per legge, sembra che quasi non esistano professioniste la cui opera sia degna di passare alla posterità: in centottantatre pagine di testo – incluse l’introduzione e l’indice dei nomi – Valerio Paolo Mosco cita meno architetti di sesso femminile di quante siano le dita di una mano.
L’apparato iconografico è meno che essenziale per un testo di architettura, anche nell’epoca in cui uno smartphone connesso a Internet sopperisce alle lacune della memoria. La scelta delle immagini in bianco e nero che punteggiano il testo inoltre risulta a tratti approssimativa, evocando solamente una minima parte degli edifici nominati e mostrandoli nella loro totalità, senza evidenziare l’effettivo dettaglio oggetto di riflessione, precludendo decisamente la comprensione delle dissertazioni di Valerio Paolo Mosco ai profani.
Silvana Costa
Architettura italiana
dal postmoderno ad oggi
Valerio Paolo Mosco
Biblioteca di Architettura Skira, 2017
15 x 21 cm, 184 pagine, 68 b/n, brossura
prezzo: 23,50 Euro
www.skira.net