Dopo il caleidoscopio di proposte alla mostra “centrale” di Rugoff, affrontiamo i Padiglioni Nazionali inseguendo la sua affermazione “Everything is connected”. L’arte crea connessioni, offre nuove prospettive, nuove visioni. Anche in tempi, come i nostri, disarticolati, impietosi, iperconnessi ma pieni di solitudini e angosce.
Continua così il “corpo a corpo” con le opere dentro ai singoli Padiglioni della Biennale. Impossibile l’indifferenza. Ovunque accumuli di culture, codici misteriosi, simboli da scoprire. Non propriamente con risultati immediati, ma su cui riflettere anche DOPO.
Rugoff dichiara la precisa volontà di cercare nuove voci: emerge la tendenza alla predominanza di artiste, molte delle quali impegnate a sostenere il ruolo della donna nella società contemporanea.
Qualche esempio? La femminista Renate Bertlmann per l’Austria con un’intensa installazione dedicata alla violenza sulle donne. Eva Rothschild espone per l’Irlanda: curatore del Padiglione è un’altra donna, Mary Cremin della Void Gallery di Derry. Considerata tra gli artisti più influenti attualmente attivi in Gran Bretagna, a Venezia c’è Cathy Wilkes con il suo immaginario rivolto alla maternità e al quotidiano; anche il curatore della sua mostra, Zoe Whitley dalla Tate Modern, è donna. Per la terza volta consecutiva, quindi, il Padiglione britannico è affidato a un’artista donna, dopo la splendida Sarah Lucas nel 2015 e Phyllida Barlow nel 2017.
All’insegna delle quote rosa, la Francia sceglie una Laure Prouvost, sulla cresta dell’onda del successo, condensato qui nel buio quasi completo dei video surreali Deep Blue. Poi: Charlotte Prodger, vincitrice del Turner Prize 2018, per la Scozia; Shirley Tze per Hong Kong.
L’elenco al femminile non termina qui: la cineasta e poetessa Nujoom Alghanem espone per gli Emirati Arabi Uniti. Georgia e Taiwan hanno svelato i nomi delle loro artiste a Venezia, rispettivamente Anna K.E. e Shu Lea Cheang. A questo parterre di regine dell’arte si aggiungono Inci Eviner per la Turchia e il duo Pauline Boudry / Renate Lorenz per il Padiglione della Svizzera.
Grandioso il Padiglione USA con le strepitose gigantesche opere di Martin Puryear che parlano di Libertà. Porta la firma dell’Ermitage il Padiglione della Russia che prende avvio dal Vangelo di Luca sul “figliol prodigo” per declinare sul tema padri-figli un dipinto di Rembrandt in atmosfere incandescenti e suggestive figure meccaniche danzanti.
Da segnalare il fascino che sottintende sottili angosce derivate dagli tsunamiishi, ovvero la roccia dello tsunami, che l’artista Motoyuki Shitamichi ha incontrato e fotografato per anni nelle isole Miyako e Yaeyama a Okinawa in Giappone.
Molto particolare, da non trascurare il Padiglione di Israele, protagonista l’artista Aya Ben Ron con un importante progetto itinerante, Field Hospital X, ospedale da campo “dove voci tacitate possono essere sentite”. Si deve prendere il numero di attesa, per accedere al reparto medico.
Sul tema “ambiente”, si va soprattutto al Nord Europa: il Padiglione finlandese con A Greater Miracle of Perception sviluppa concetti dal collettivo Miracle Workers, transdisciplinare e transnazionale. La Scandinavia parla con intensità delle varie relazioni tra gli esseri umani e altri organismi viventi in un’epoca di cambiamenti climatici e di estinzioni.
Interessante il Padiglione brasiliano, focalizzato sulle culture native, con Swinguerra. L’Azerbaijan medita sulla comunicazione globale.
Si potrebbe continuare. Il visitatore può scegliere il suo percorso ideale, anche tra Olanda, Spagna, Belgio, il Padiglione Venezia e in giro per gli splendidi Palazzi della laguna dove rintracciare altre partecipazioni nazionali. Necessaria assolutamente la mappa!
Per trovare poi il Padiglione Italia bisogna arrivare alle Tese delle Vergini, confinato oltre l’Arsenale assieme a quello della Cina. Né questa. Né altra è il tema del labirinto proposto da Milovan Farronato ai tre nostri artisti: Enrico David, Liliana Moro, Chiara Fumai (mostra postuma). Poco riscontrabile sul percorso il richiamo insistito a Calvino, con “Bella Ciao” urlata dagli altoparlanti.
Che dire infine dei Premi? Il Leone d’Oro della Biennale 2019 alla Carriera va, meritatissimo, allo statunitense Jimmie Durham, da sempre fermo propositore della cultura degli Indiani d’America.
Altri Premi: Migliore Padiglione quello della Lituania, con l’originalità scenica di un’opera brechtiana. Menzione a Mondo Cane del Belgio.
E per finire, tragico simbolo all’Arsenale appare il fantasma arrugginito di Barca Nostra, il relitto recuperato nel Mediterraneo dopo il naufragio di migranti del 18 aprile 2015, ora nell’installazione dello svizzero Christoph Büchel, mentre sullo sfondo le enormi mani bianche intrecciate da Lorenzo Quinn fanno arco sul canale.
Tra crisi conclamate o serpeggianti, si gira a lungo per rintracciare Interesting Times. Se ne troverà alla Biennale di Venezia? E in quella miriade di Eventi Collaterali o nei FuoriBiennale che pullulano un po’ ovunque?
Anche l’imprevedibile Banksy ha voluto fare il suo “blitz”. Per confermare dal suo sito la sua misteriosa presenza in laguna.
Al pubblico l’…ardua sentenza. Per noi è stata una delle edizioni più aperte e coinvolgenti, che meglio fa riflettere sullo stato dell’arte.
Fabrizia Buzio Negri
La mostra continua:
Giardini e Arsenale
Sestiere Castello – Venezia
fino a 24 novembre 2019
orari: Giardini: 10 – 18
Arsenale: 10 – 18
venerdì e sabato, fino al 5 ottobre, chiusura ore 20
chiuso lunedì (escluso 2 settembre, 18 novembre)
www.labiennale.orgBiennale Arte 2019
May You Live In Interesting Times
a cura di Ralph Rugoff
progetto grafico dell’immagine coordinata e layout dei volumi: Melanie Mues – Mues Design LondoCatalogo ufficiale:
May You Live In Interesting Times
edizioni La Biennale di Venezia, 2019
Volume I
a cura di Ralph Rugoff
dedicato alla Mostra Internazionale
Volume II
dedicato alle Partecipazioni Nazionali e agli Eventi Collaterali
Guida della Mostra
studiata editorialmente per accompagnare il visitatore lungo il percorso espositivo