Prosegue la visita alla Biennale di Architettura di Venezia curata da Yvonne Farrell e Shelley McNamara. Tappa ai Giardini per scoprire l’interpretazione di Freespace elaborata da trenta delegazioni straniere e il Padiglione Centrale.
I Giardini creati per volere di Napoleone a inizio XIX secolo, in un’area alla punta Sud-Est di Venezia, dal 1895 ospitano le diverse edizioni della Biennale. Inizialmente tutti i partecipanti all’evento erano concentrati nel Padiglione Centrale, la palazzina realizzata all’uopo l’anno precedente e successivamente ampliata e abbellita con interventi puntuali che si sono succeduti sino ai giorni nostri. Nel 1907 i Paesi esteri hanno avuto il permesso di iniziare a costruire padiglioni destinati all’esposizione dei propri artisti, edifici sovente commissionati ad architetti vanto essi stessi della Nazione, da Alvar Aalto a Josef Hoffmann. Iniziamo il reportage proprio dal Padiglione del Canada, progettato invece da uno studio italiano, il milanese BBPR, inaugurato nel 1958 e che quest’anno, in occasione del sessantesimo anniversario, si presenta al pubblico completamente restaurato e orgoglioso di raccontare la propria storia.
A fianco si erge il Padiglione della Gran Bretagna che interpreta Freespace, il tema della Biennale di Architettura 2018, facendosi esso stesso spazio libero, destinato a eventi, dibattiti e incontri estemporanei; un’isola tranquilla – Island è il titolo conferito al (non)allestimento – in cui fermarsi a riflettere su quanto visto. Tale originale idea, a cura dello studio Caruso St. John Architects e dell’artista Marcus Taylor, è stata insignita della Menzione Speciale della Giuria della mostra. Il Leone d’Oro alla Partecipazione Nazionale va a Svizzera 240: House Tour “per una installazione architettonica piacevole e coinvolgente, ma che al contempo affronta le questioni chiave della scala costruttiva nello spazio domestico”. I curatori hanno ricostruito all’interno del Padiglione elvetico un appartamento vuoto dove, muovendosi di stanza in stanza, ci si sente come Gulliver nel corso dei suoi viaggi: da un ambiente iniziale, dell’altezza standard di 240 cm, si passa a vani microscopici, in cui si cammina chinati, a cucine con piano di lavoro posto a oltre due metri di altezza. Nel corso dell’esplorazione i visitatori sono invitati a toccare le superfici di muri, pavimenti, interruttori, ripiani affinché capiscano che, sebbene sia di moda parlare di organizzazione funzionale degli spazi e di stile di vita, il vero valore del progetto residenziale risiede nella qualità dello spazio architettonico, nel pregio dei materiali impiegati e nelle proporzioni degli ambienti.
Possible spaces – Sustainable development through collaborative innovations è il tema del Padiglione della Danimarca che si concentra sulla risorsa spazio e sulle sue infinite potenzialità. Sono qui esposti quattro esempi di come le nuove tecnologie e la collaborazione con professionisti afferenti a campi diversi dall’architettura consentano di perseguire uno sviluppo sostenibile dei centri urbani. Quattro progetti che parlano di interventi sul patrimonio edilizio esistente, portati avanti dai proprietari in concertazione con gli inquilini, la pubblica amministrazione e le imprese; di salvaguardia dell’identità culturale dall’omologazione del mercato; di visionarie evoluzioni delle infrastrutture di trasporto che cambieranno i rapporti spaziali su larga scala, ridefinendo i concetti di paesaggio, tempo e distanza. Ritroviamo BIG – Bjarke Ingels Group, co-autore del futuristico progetto per la mobilità targato Virgin, protagonista anche del Padiglione Centrale con BIG U, il piano elaborato nel 2016 in collaborazione con la città di New York. BIG U è una fascia lunga 10 miglia che cinge Lower Manhattan, un programma urbanistico di salvaguardia ambientale, da attuarsi in più fasi nei prossimi trent’anni, attraverso interventi di riqualificazione urbana, di intensificazione degli spazi verdi e di potenziamento dei servizi per la comunità.
Al colossale plastico di BIG U si contrappone, nella sala adiacente, l’essenziale schizzo di una città affacciata sull’acqua – proprio come Venezia – di Paulo Mendes da Rocha, Leone d’Oro alla Carriera nella precedente edizione della mostra. A queste visioni di ampio respiro si contrappone la lezione di Cino Zucchi – già curatore del Padiglione Italia nel 2014 – sugli edifici di Luigi Caccia Dominioni nella Milano uscita sfregiata dalla Seconda Guerra Mondiale, con un focus sul complesso edilizio multifunzionale in corso Italia (1957-64). Un allestimento che, per quanto curato storicamente, elegante e ricco di pezzi di pregio quali lucidi e oggetti di design originali, appare un mero intervento accademico sulla storia dell’architettura moderna, con nessuna attinenza al tema della Biennale. In tal senso si dimostra molto più sottile e acuto l’inglese David Chipperfield – curatore della Biennale Architettura 2012 – che propone la celebre prospettiva di Karl Friedrich Schinkel dell’Altes Museum (1823-1828) a Berlino. Lo spazio interno di chiara matrice neoclassica trova una naturale prosecuzione nella piazza alberata antistante eppure, più che l’immagine in sé, è importante l’idea che questo e gli altri edifici monumentali che compongono l’Isola dei Musei siano disposti liberamente nel paesaggio urbano, come i templi dell’Acropoli, senza seguire le rigide regole delle città di fondazione, sottendendo un parallelismo tra la democratica Atene e il neonato Stato Prussiano. O, ancora, lo statunitense Robert McCarter che, rispolverando l’idea di Carlo Scarpa per la Biennale d’Arte del 1972, espone i progetti per il Masieri Memorial (1952) di Frank Lloyd Wright, L’Ospedale di Venezia (1964) di Le Corbusier, il Palazzo dei Congressi (1968) di Louis Kahn e il Parco Pubblico di Jesolo (1970) di Isamu Noguci: quattro spazi aperti alla comunità nel cuore della laguna veneziana.
Tornando nei Giardini ci si perde a zigzagare tra Mnemonics, l’installazione del Padiglione rumeno destinata a evocare i giochi con gli amici per strada, e la statunitense Dimensions of citizenship in cui si narrano episodi virtuosi di esercizio del potere della comunità, di coesistenza, di condivisione di beni, sapienza e risorse ambientali. Al Padiglione del Brasile si riflette sui Muri d’Aria, ovvero sulle svariate forme di separazione spaziale e sociale presenti sul territorio, e si avanzano proposte creative per demolire le barriere al fine di rendere lo spazio urbano più fluido e fruibile. Il Padiglione del Belgio si trasforma, per definizione degli stessi curatori, in un santuario ove i cittadini della Comunità Europea possano incontrarsi, discutere liberamente e dare vita a Eurotopie mentre il Padiglione greco ospita una sorta di Scuola d’Atene dell’architettura.
Al Padiglione del Giappone si compie un meticoloso esercizio di Architectural Ethnography che, partendo dalle costruzioni di sapore ancestrale dei villaggi di contadini e pescatori, cerca di trovare nuovi modelli di sviluppo consoni ai cambiamenti introdotti da urbanizzazione e globalizzazione. Dettagliati appunti in forma di disegno illustrano le molteplici situazioni d’uso che scaturiscono da uno stesso edificio, mappando le abitudini delle diverse componenti della società e registrando i bisogni dei singoli individui al fine di approfondire l’inscindibile relazione tra vita e architettura. Ancora, i Luoghi infiniti raccontati dal Padiglione francese sono esperimenti di vita collettiva, sovente luoghi di rinascita di spazi abbandonati dalla società grazie al lavoro collettivo, realtà consolidate da decenni piuttosto che nuove sperimentazioni, luoghi aperti e generosi con gli ultimi arrivati a prescindere dal genere.
Serve infine prendere il vaporetto per raggiungere l’Isola di San Giorgio Maggiore e vivere la suggestiva esperienza di scoperta e riflessione concepita per il debutto della Santa Sede alla Biennale Architettura. Francesco Dal Co, curatore dell’installazione, trae ispirazione dalla Cappella nel bosco (1920) – costruita su progetto di Gunnar Asplund presso il Cimitero di Stoccolma – e invita il pubblico a compiere un pellegrinaggio architettonico tra gli alberi del parco alla scoperta delle dieci Vatican chapels ideate da Francesco Cellini, Eduardo Souto de Moura, Terunobu Fujimori, Norman Foster, Andrew D.Berman, Javier Corvalàn Espinola, Carla Juacaba, MAP Studio, Flores & Prats, Sean Godsell e Smiljan Radic Clarke.
Silvana Costa
La mostra continua:
Giardini e Arsenale
Sestiere Castello – Venezia
fino a domenica 25 novembre 2018
orario: 10 – 18
(ultimo ingresso ore 17.45)
solo sede Arsenale: venerdì e sabato fino al 29/09
chiusura ore 20 (ultimo ingresso ore 19.45)
chiuso il lunedì
(esclusi lunedì 28/05, 13/08, 3/09 e 19/11)Biennale Architettura 2018
16. Mostra Internazionale di Architettura
presidente Paolo Baratta
a cura di Yvonne Farrell, Shelley McNamara
www.labiennale.org/it/architettura/2018