Capolavori rubati

Luca Nannipieri offre un’articolata riflessione sui furti di beni culturali nella società contemporanea, un’attività che secondo le stime dell’Interpol frutta ogni anno un profitto superiore ai 9 miliardi di dollari.

Nulla di più sbagliato è pensare che l’arte spinga al bene e alla giustizia. Omicidi, razzie, corruzioni, contrabbandi, soprusi, roghi, devastazioni, confische, ruberie hanno contraddistinto la vita di molti capolavori assai più dello spirito di solidarietà e di fratellanza. Soltanto una lettura moralistica, e dunque non veritiera, della storia dell’arte, può far diventare la bellezza ciò che la bellezza di fatto non è: ovvero un purificatore d’anime” (pag. 11). Si apre con queste considerazioni Capolavori rubati, il volume del critico d’arte Luca Nannipieri tratto dalle dissertazioni intavolate nell’omonima rubrica de Il caffè di Raiuno.
Non è dunque vera la teoria di Dostoevskij che “la bellezza ci salverà”, basti pensare al conflitto scatenato dal giudizio di Paride o alle opere d’arte acquisite quale bottino di guerra, ennesimo scacco alle genti sconfitte in battaglia, o agli odierni furti su commissione che altro non sono che il retaggio di cotanto violenta eredità culturale. Nannipieri in realtà va oltre nel sottolineare come raramente i musei, simbolici giacimenti di civiltà, siano stati fondati su “rispettosi spostamenti” di opere d’arte, dai fregi del Partenone ai corredi funebri egizi, dagli arredi sacri di ordini religiosi soppressi ai reperti portati alla luce da scavi clandestini.
Premesso che ciascuno, in base alla propria formazione, carica gli oggetti d’arte di differenti significati e aspettative, la brama di possesso si focalizza comunemente sugli elementi più rappresentativi degli ondeggiamenti del gusto del momento. In tal senso è esemplare il destino toccato a La Flagellazione di Cristo (1459/60) di Piero della Francesca: la tempera su tavola è infatti rubata quando ne viene sancito il valore artistico esponendola alla Galleria Nazionale delle Marche dopo decenni trascorsi nell’indifferenza nella sagrestia del Duomo di Urbino.
Tuttavia capita di assistere anche all’effetto contrario, a dipinti che, sebbene eseguiti da autori famosi, raggiungono reale notorietà solo nel momento in cui vengono rubati come accade a La Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi (1600) di Caravaggio, trafugata a Palermo il 17 ottobre 1969. Opere semisconosciute a prescindere dalla celebrità dell’autore o perché lontane dai grandi percorsi turistici, come nel caso del Caravaggio immerso nel buio di un piccolo oratorio di quartiere, o perché, come la Gioconda (1503/04), messa in ombra dalle decine di altre meraviglie del Louvre.
Il lettore con Capolavori rubati si trova a confrontarsi con un originale volume di storia dell’arte raccontata attraverso i tasselli mancanti – in via temporanea o ahinoi definitiva – attingendo a foto d’archivio e descrizioni d’inventario. I capitoli, ciascuno dedicato a un eclatante episodio assurto agli onori della cronaca, espongono lo svolgimento delle operazioni criminose, includendo un impietoso esame della facilità con cui i ladri riescono a eludere la sorveglianza, magari approfittando di trasferimenti delle opere per una mostra. Un preciso atto di accusa all’inadeguatezza dei sistemi d’allarme e antintrusione: scorrendo gli esempi descritti da Nannipieri la sicurezza pare essere un fattore ampiamente sottovalutato in una società che sovrastima il proprio livello di onestà, una maldestra forma di risparmio che non considera il maggior danno economico indotto dalle operazioni di indagine e dal calo dei visitatori causato dalla mancanza dei pezzi forti. Fa perciò indignare la facilità con cui il 19 novembre 2015 vengono sottratti rocambolescamente 17 dipinti – tra cui tele di Tintoretto, Rubens, Mantegna e Pisanello – dal Museo di Castelvecchio a Verona, ritrovati in Ucraina due anni più tardi grazie alla collaborazione internazionale tra le forze dell’ordine.
La casistica analizzata spazia indifferentemente da prestigiose collezioni private a musei pubblici, dalla vecchia Europa agli Stati Uniti; L’urlo di Edvard Munch, nelle sue varie versioni, sembra essere il dipinto più rubato mentre a Rembrandt – tra dipinti, disegni e incisioni – tocca la palma dell’artista più richiesto da collezionisti che vogliono “avere l’insolente privilegio di poter godere, a qualunque ora del giorno o della notte, della visione del capolavoro che hanno sottratto al beneficio pubblico” (pag. 89).
Capitolo dopo capitolo Luca Nannipieri ricostruisce furti epocali, ricordando come questi siano solo la punta dell’iceberg di un fenomeno purtroppo molto più intenso e diffuso: il fitto elenco tenuto sempre aggiornato dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale testimonia semplicemente come tanti casi definiti minori non assurgano agli onori della cronaca.
In Capolavori rubati, dietro l’apparente distacco del giornalista che riporta dati e fatti, batte il cuore del critico indignato che esprime il giudizio personale citando a supporto i pensieri espressi da penne del calibro di Giulio Carlo Argan, Achille Bonito Oliva, Roberto Longhi, Federico Zeri ma anche Leonardo Sciascia, Giuseppe Ungaretti o Alan Bennet. È infatti impossibile restare indifferenti davanti ai continui furti che al momento – più per mancanza di attenzione che di fondi – privano i cittadini di una prestigiosa porzione di bellezza e alimentano un mercato criminale che vi trova sia una via di riciclaggio del denaro sporco sia una forma di acquisizione di prestigio.

Silvana Costa

Capolavori rubati
di Luca Nannipieri
Skira, 2019
14 x 21 cm, 192 pagine, 13 colori, brossura
prezzo: 19,00 Euro
www.skira.net