Antonio Ottomanelli ha rovistato tre città sfregiate dalla guerra in cerca di segni delle macroscopiche forze in azione sul paesaggio, registrando le sue osservazioni in note scritte e immagini.Approda in Triennale il pluripremiato progetto Collateral Landscape, il viaggio del giovane fotografo Antonio Ottomanelli nei Paesi segnati dalla guerra e dagli attentati terroristici – Afghanistan, Iraq, Palestina e USA – per indagare l’evoluzione del paesaggio sotto gli effetti della distruzione o in presenza di fattori di crisi. Se le singole fotografie sono pregevoli per esecuzione tecnica e composizione, è tuttavia nel loro insieme che acquistano potenza, mostrando un tentativo di rilettura e ricomposizione inedita dei territori visitati.
Antonio Ottomanelli rientra tra le generazioni di architetti allievi di Gabriele Basilico – con apprendistato diretto o virtuale – formatisi sulle riviste di architettura, sfogliate sin dai tempi dell’Università. Le pagine patinate hanno restituito, nel corso degli anni, i servizi del maestro sia sugli edifici martoriati dalla guerra, come nel caso del Libano, sia sulle fabbriche abbandonate e sventrate nelle periferie urbane. Nel 2006, in occasione dell’evento Domus Free Zone, in cui venivano confrontate vedute delle vie di Beirut come apparivano nel 1990 e nel 2003, Basilico spiega lo spirito con cui ha realizzato quel lavoro, all’inizio degli anni ’90. “Non si trattava di realizzare un reportage o di produrre un inventario, bensì di comporre uno “stato delle cose”, un’esperienza diretta del luogo affidata a una libera e personale interpretazione. Alla fotografia veniva affidato il compito civile di contribuire, con la testimonianza della follia umana, alla costruzione della memoria storica”. Nemmeno Ottomanelli ci presenta un reportage dalle zone di guerra. Con animo sensibile si avventura tra le vie per mostrarci squarci di normalità, persone che, in mezzo ad edifici squarciati e strade polverose, si sforzano di dare una parvenza di normalità alla propria quotidianità, riprendendo in mano la vita dopo lo stand-by dell’incertezza che ha seguito la deflagrazione delle bombe. Andati, curiosi, a vedere una mostra di fotografia, scorrendo gli occhi lungo le pareti dell’Impluvium, realizziamo di trovarci di fronte ad un articolato studio antropologico. Joseph Grima, direttore di Domus, rivista che ha ospitato ampi stralci di questo progetto, nella veste di curatore della mostra scrive: “Quando il fotografo Antonio Ottomanelli partì per l’Afghanistan nel 2009 non fu per verificare un’idea preconcetta della capitale afghana: era invece per osservare sul posto una terra trasfigurata da un conflitto senza sosta, ormai abituata al trauma al punto che esso era diventato parte delle costruzioni della città.”
Il progetto non è dunque lo stereotipato rilievo dei segni della distruzione, quanto la testimonianza del desiderio della popolazione di passare oltre, come smacco agli eventi, con la forza di un fiume che erode e supera le barriere. La madre che porta il figlio ai giardinetti, gli animali placidi al pascolo, i lindi quartieri residenziali, il cavallo nella stalla (seppur improvvisata) o, ancora, il centro commerciale con l’ultima collezione di moda nelle vetrine e le automobili lussuose allineate nel parcheggio: ritroviamo queste situazioni animate da spirito di riscossa in ogni parte del globo. L’allestimento, volutamente, non prevede didascalie sotto le immagini, lasciandoci spiazzati davanti a due fotografie accostate che ritraggono entrambe una via del centro, con persone raccolte attorno ad un’automobile parcheggiata. Sappiamo che una è stata scattata a New York e l’altra a Baghdad, ma ci risulta arduo collocare ciascuna nella giusta posizione sul mappamondo: sono talmente numerosi i punti in comune tra le due situazioni che, a tratti, potremmo pensare siano differenti scorci dello stesso isolato. Solo avvicinandoci, aiutandoci con la presenza di caratteri arabi sui cartelli, sveliamo l’arcano. L’esperienza si ripete più volte nel corso dell’esposizione, magari ampliando il campo della ripresa per restituirci interi spicchi di skyline, accostando città agli antipodi ma, in fondo, non così diverse né distanti tra loro.
Silvana Costa
La mostra continua:
Triennale di Milano – Impluvium
viale Alemagna, 6 – Milano
fino a domenica 23 giugno
orari martedì – domenica 10.30 – 20.30
giovedì 10.30 – 23.00 lunedì chiuso
ingresso gratuito
www.triennale.itCollateral Landscape
Fragments of landscape on the post war reconstruction borders
fotografie di Antonio Ottomanelli
a cura di Joseph Grima
prodotta da LUZ e Fondazione La Triennale di Milano
progetto di allestimento MODOURBANO architettura
progetto grafico Lucio Ruvidotti
direzione artistica catalogo Letizia Trulli
www.collaterallandscape.net