Alla Galleria Continua di San Gimignano, fino al 5 settembre, quattro mostre offrono al pubblico un’immersione totale nell’arte contemporanea.
Quattro mostre in altrettante suggestive dimore storiche di San Gimignano, questa la proposta estiva della Galleria Continua, uno tra i punti di riferimento dell’arte contemporanea in Toscana e non solo – vista la presenza di sue sedi anche a Beijing e Les Moulins, e la prossima inaugurazione a L’Avana. Come sempre, uno tra i punti di forza delle esposizioni di Continua è la location, che non è mai una fredda successione di stanze asettiche ma un luogo dotato di una sua storia, che dialoga con il contemporaneo in un gioco di rimandi e contrappunti quasi musicale nella sua varietà coloristica e partitura poetica.
Partiamo, quindi, alla scoperta dell’universo di Continua dalla sua sede storica, un ex cinema restaurato – mantenendone però intatta la struttura – in via del Castello, proprio nel cuore di San Gimignano, dove Anish Kapoor ha allestito la sua personale, intitolata Descension. L’insieme delle opere, di materiale, forma e impianto completamente diversi fra loro, sono tutte accomunate da una visione metafisica dello spazio, uno spazio vuoto che ipnotizza e risucchia al suo interno l’occhio e la mente del visitatore per gettarlo, immemore di sé, in un universo altro perché, come le più recenti scoperte scientifiche ipotizzano, esiste un’energia al di là della materia che non è possibile vedere e misurare attualmente ma, in quel vuoto assoluto, risiede in realtà il pieno intangibile.
Nella prima stanza, si notano, innanzi tutto, Monochrome (Black/Cobalt Blue) e Monochrome (Silver/Oriental Blue), entrambi in vetrofibra, datati 2015. Cerchi di grandi dimensioni, dove lo studio sulla monocromia (che, storicamente, li avvicina agli esperimenti degli Espressionisti astratti statunitensi, tra i quali spiccava indubbiamente Mark Rothko) si impone come tramite verso un discorso filosofico altro poiché i pigmenti di colore, in grado di riflettere (nel secondo) o di catturare la luce (il primo), imprimono uno scarto rispetto alla materialità pura e traslucida della superficie rendendo cangiante e, quindi, mutevole come la vita dello spettatore che la osservi – specchiandovisi – Monochrome (Silver/Oriental Blue); o, al contrario, risucchiando l’energia dall’esterno in un nocciolo autoimplosivo, nel caso di Monochrome (Black/Cobalt Blue).
Fulcro di questa mostra che si pone in aperto dialogo con le antitesi per eccellenza di vuoto e pieno, materia e antimateria, vita e morte, luce e ombra, sono le opere esposte nella platea dell’ex cinema, ancora ben riconoscibile nella sua struttura. In primis, Untitled (1993-2015, vetrofibra e pigmenti), un rettangolo nero apparentemente bidimensionale posto sulla parete di fronte all’entrata, che ha la capacità di magnetizzare l’occhio dello spettatore, che si sente trasportato da una forza superiore verso questo vuoto adimensionale che, man mano che ci si avvicini, acquisisce una tridimensionalità sempre più conturbante, fino ad assurgere a finestra che si apre su un universo altro, dove le stelle risucchiate giacciono nel silenzio immoto del buco nero. Eppure, proprio quando ci si sente sull’orlo di un precipizio senza ritorno, ecco che, se ci si sposta lateralmente all’opera, la stessa acquisisce, d’improvviso, una materialità piena e soffice, vellutata al tatto, che riporta al presente, al qui e ora, alla morbidezza rassicurante delle cose che conosciamo e ci circondano. Viaggio nell’assoluto e ritorno nel contingente, nell’eternità di un attimo rubato all’infinito.
Al centro della platea, ecco quindi troneggiare Descension (2015, acciaio, acqua, motore), un autentico gorgo nero che ci trascina nelle sue spirali, che imprigiona la nostra mente in ataviche paure di annegamento ma, al contempo, perturba il nostro io con la fascinazione della morte, dell’abbandonarsi a quelle volute che imprigionano l’occhio e rombano nel cervello con la forza dei gorghi che si aprono in alto mare, durante le tempeste. Impossibile dire fino a che profondità si spinga questo vortice d’acqua che si apre in un palcoscenico di legno, e il cui rumore appare amplificato grazie all’acustica del luogo. La contrapposizione stridente tra un cinema, luogo chiuso per eccellenza, e un gorgo, associato immediatamente con l’orizzonte infinito degli oceani, rende l’angoscia del visitatore ancora più palpabile. Impossibile sapere dove queste acque nere finiscano, se in un improbabile inferno o semplicemente nella pace assoluta di un nirvana raggiunto smettendo di lottare, lasciandosi finalmente trascinare dalla corrente, come goccia che dal fiume giungerà al mare per poi evaporare in una nuvola, ricominciando il ciclo naturale che si sposa alla perfezione con quella ruota di reincarnazioni dalla quale è arduo sottrarsi.
Infine, segnaliamo le tre piccole statue (se così è lecito definirle) in acciaio inossidabile, del 2014, tutte Untitled, che nelle loro superfici concave o convesse riflettono e, al contempo, catturano lo spazio esterno e la nostra stessa immagine. Il gioco dell’artista con il visitatore si trasforma in dialogo, l’arte perde del tutto la propria autoreferenzialità, cangiandosi in colloquio spontaneo e mutevole. Ma, nel contempo, il discorso di Kapoor – che non è mai fine a se stesso – si fa monito: dove finisce il nostro io materiale? A quale dimensione appartiene la nostra immagine? E, soprattutto, esiste davvero l’universo indipendentemente dall’occhio e, soprattutto, dalla mente di chi lo osserva? L’artista sembra porre domande basilari con le sue opere ma le risposte, come giustamente deve essere in arte, non vengono da un pulpito o da un moralizzatore di costumi, bensì da noi stessi che, nel dubbio, troviamo una nostra strada, impervia, personale ma, almeno per noi, in quell’attimo in cui entriamo in sintonia con l’opera, illuminante.
Abbandoniamo Kapoor e la sede della Galleria Continua e ci spostiamo ad Arco dei Becci, dove sono esposte due opere di Jannis Kounellis. Qui, la stanza di dimensioni ridotte, situata in un edificio storico del centro di San Gimignano, con la sua luce naturale che filtra da una finestra, si sposa perfettamente con la poetica di quel maestro dell’arte povera che ha trasformato il peso materico in peso esistenziale, attraverso una miriade di lavori esposti in tutti il mondo. Senza Titolo (1996, legno, sacco di juta, coltello) è una croce che, però, non solamente pone il significante all’origine del significato ma, soprattutto, con la forza del significante (in questo caso, un quintale di carbone) opera una trasposizione di senso dall’astrazione della sofferenza di un Cristo alla materialità del fardello che, quotidianamente, sopporta e vive ognuno di noi nella propria esistenza. Altrettanto icasticamente preciso il suo secondo lavoro, Senza Titolo (2015, bottiglie, giacche), dove delle semplici bottiglie di olio e vino, uniformi nel loro grigiore un po’ polveroso, non cercano di simboleggiare altro, eppure hanno la possenza di un’energia intrinseca, quella della massa, che si muove lentamente ma si muove, e che se è costretta a lottare e sudare, in un’epopea millenaria che avrà fine solo con l’estinzione del genere umano, non esita però a rimanere unita laddove vi sia bisogno della sua forza, della sua innata empatia verso il proprio simile.
Dal vuoto cosmico di Kapoor alla materialità cruda dell’esistenza di Kounellis, il viaggio continua in un appartamento situato vicino alla Galleria Continua. Anche qui, il lato domestico di una cucina ancora attrezzata e di una serie di stanze spoglie ricoperte da soffitti con travi a vista, si mostra location perfetta per i paesaggi di Serse, che possono dare un po’ di sollievo all’occhio e alla mente in tumulto del visitatore. Dell’artista italiano sono in mostra alcune opere del ciclo A fior d’acqua, realizzate in anni diversi (dal 2002 al 2015), oltre ad alcuni paesaggi degli anni Novanta, come Aria di Parigi (1995) e Paesaggio Romantico (1996-2015). Un percorso, il suo, di estrema lucidità e onestà artistica, che nel confronto con un materiale povero come la grafite (su carta, in generale montata su alluminio) dimostra come il materiale, in arte (a differenza dell’artigianato), sia solo un mezzo sublimato dalla forza della poetica dell’artista e dalla pluralità di sensi che lo stesso riesce a trasmettere all’osservatore. La linea temporale dell’esposizione ci permette, inoltre, di assistere all’evoluzione del percorso artistico di Serse che, sebbene si confronti sempre con il paesaggio – a livello tematico – e con la grafite – in quanto a materiale prescelto per l’esecuzione dell’opera – dimostra come il suo sia un lavoro in levare, in sottrazione, sempre più pressante, fino ad arrivare a una forma di astrattismo che, pur non essendo non-figurativa, ha in sé sia il rimando al vero sia la capacità di travalicare quel vero per assurgere a modelli algebrici di interpretazione della realtà. Il ciclo A fior d’acqua, in particolare, ben dimostra come i semplici chiaro-scuri, i giochi di luce, la forza del tratto o lo stemperarsi dello sfumato, possano restituire, al di là della consistenza di una superficie in movimento, essenze tridimensionali che travalicano la dimensione contingente per farsi attimi atemporali di piacere puro.
E, infine, un percorso all’indietro, alle fonti, alle radici di uno tra gli artisti italiani di maggiore fama, Michelangelo Pistoletto – la cui personale, Prima dello Specchio, è ospitata all’ultimo piano di un’altra dimora del centro storico di San Gimignano, dove le pareti ancora parzialmente affrescate dialogano senza soluzione di continuità con la coloristica materica delle opere dell’artista piemontese. Interessante, anche dal punto di vista dello storico dell’arte, riscoprire questo Pistoletto nella sua fase di affermazione di un proprio originale apporto all’arte contemporanea, di sviluppo di un proprio stile tanto personale quanto rivoluzionario (basti citare La venere degli stracci). Nella fase in mostra a San Gimignano, ecco riemergere lo studio sul ritratto, la rielaborazione di una propria forma di Espressionismo, nella quale si rintracciano la matrice baconiana (pensiamo soprattutto al ritratto di Innocenzo X, a quell’urlo compresso dalla forma geometrica che sembra implodere incapace di oltrepassare la spazialità volutamente chiusa), ma anche una sensibilità coloristica che rimanda a Kirchner e alle sue folle, nelle quali i primi ritratti a mezzo busto di Pistoletto paiono, successivamente, perdersi, rimpicciolendo le proprie dimensioni, fino a scomparire nell’omogeneità della massa. E ancora, prima della serie degli specchi, è interessante scoprire come l’artista si sia posto in diretta antitesi con l’Espressionismo stesso, lavorando in sottrazione. E laddove il gruppo Die Brücke portava all’esasperazione il tratto somatico per esprimere la propria feroce critica, ecco che vediamo come Pistoletto sembri voler cancellare quegli stessi tratti, annullare le differenze, assolutizzare le forme di una geografia umana sempre meno precisa, votata a un’autodistruzione silente, freddamente nichilista nella propria angoscia priva di assoluti.
Un viaggio davvero interessante, quello che offre Continua. Un modo diverso per mettere in dialogo presente e passato, nel quale (stranamente, ma forse non troppo, visto che l’arte è frutto dell’ingegno umano e siamo tutti uomini) è d’uopo anche raffrontare temi e stili, rintracciando filoni all’inizio impensabili, o le rispondenze di poetiche diverse. Come la ricerca dentro di sé dei gorghi di Kapoor e quella delle superfici acquose, che riflettono i giochi di luce, di Serse; o, ancora, il monocromo riflettente, sempre di Kapoor, con le superfici degli specchi che renderanno Pistoletto universalmente famoso. Misteri dell’arte, misteri dell’animo umano.
Simona Maria Frigerio
Le mostre sono organizzate da:
Galleria Continua
via del Castello, 11 – San Gimignano (Siena)
fino a sabato 5 settembre
orari: da lunedì a sabato, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.00
domenica chiuso
www.galleriacontinua.comvia del Castello, 11 – San Gimignano (Siena)
Descension
Anish Kapoor
Arco dei Becci, 1 – San Gimignano (Siena)
Jannis Kounellisvia del Castello, 11 – San Gimignano (Siena)
Prima dello specchio
Michelangelo Pistolettovia del Castello, 11 – San Gimignano (Siena)
L’esperienza del paesaggio
Serse