Da Gostanza da Libbiano alla signora Umney

La Città del Teatro di Cascina l’ironia di Oscar Wilde, lo humour nero di Ugo Chiti e l’imparabile bravura di Lucia Poli per una libera rilettura de Il Fantasma di Canterville.

Personalmente ho scoperto Lucia Poli in un gioiello cinematografico firmato da Paolo Benvenuti,Gostanza da Libbiano, dove la protagonista – incorniciata da un bianco e nero alla Dreyer – donna e, quindi strega, invece di finire arrostita come la consorella Giovanna d’Arco, per una volta, si salva grazie alla propria intelligenza ed eloquenza. Un film esteticamente ineccepibile e ottimamente interpretato che aveva anche il pregio, in tempi intolleranti quali i correnti, di ricordare a chi fosse di memoria fatua che la chiesa cattolica ardeva, impalava, perseguitava e rinchiudeva né più né meno degli attuali islamisti – che, giustamente, essendo più giovani di circa 5 secoli e non avendo ancora avuto i loro Robespierre o Voltaire, né lumi o rivoluzioni, ardono, impalano, perseguitano e rinchiudono.
Qualche anno dopo ho applaudito la Poli a Teatro a Corte – uno dei festival estivi più interessanti d’Europa – interprete di Cittadine, una rilettura sagace e ironica dell’Unità d’Italia vista attraverso gli occhi delle donne che per quell’unità combatterono o che, grazie a quell’epoca di rivoluzioni, poterono finalmente riappropriarsi della loro vita – come Enrichetta Caracciolo, monaca di clausura per forza, sopraffatta per anni da quell’ego maschile e da quel sistema di potere patriarcale che, ieri come oggi, vorrebbe possedere il corpo e la mente delle donne, rinchiudendole dietro alla grata di un monastero o dietro alla griglia di un burqa.
Oggi, la ritrovo a La Città del Teatro di Cascina, con un testo all’apparenza leggero ma che se, sfogliato con accuratezza, è stratificato quanto una cipolla. In superficie, l’ironico racconto giovanile di Oscar Wilde mette alla berlina sia tradizioni e snobismi britannici sia l’agguerrita macchina positivista made in Us.
Il secondo strato, firmato Ugo Chiti – che abbiamo recentemente applaudito come co-autore diComici fatti di sangue – venato di uno humour nero, ridicolizza con lo specchio dell’attualità quegli stessi miti statunitensi che hanno ammorbato l’anima europea nel secolo scorso. Basti fare due esempi. Il primo, l’onnipresente proibizionismo statunitense che ha generato decenni di guerra alle droghe, azzerando le differenze tra le stesse e trasformando il ragazzino che si fa uno spinello di marijuana in un pericoloso disadattato votato all’autodistruzione. Salvo poi accorgersi che i consumatori di cannabis sono un ottimo mercato e, in epoca di guerra alla nicotina, legalizzare alla chetichella in molti Stati Usa il consumo, più o meno terapeutico, di quella stessa “maria”, rivitalizzando così le economie depresse dalla crisi economica. Discorso questo che può intravedersi nell’uso degli integerrimi protagonisti, i coniugi Otis, di farsi un goccetto.
Il secondo, la banalità del normale, che tutti affligge, e che è perfettamente interpretata dalla succitata coppia, Hiram e Lucrezia, impersonata dai bravi Simone Faucci e Carlo Zanotti – i boysdi Lucia Poli che, oltre a permettere alla mattatrice di riprendersi tra un monologo e l’altro e di cambiarsi di costume, sono l’immagine stessa di quella normalità alla quale forse giungeremo anche noi in Italia, quando finalmente le coppie gay potranno sposarsi e, di conseguenza, adottare, litigare, separarsi e divorziare come noi tutti. Sempre che non si continui a sventolare all’infinito il modello alla tedesca, che dovremo prima o poi cambiare con quello all’inglese (dato che sembra che un modello italiano non si riesca a pensare in questo Paese ufficialmente laico. E sempre che questo continuo cambiare nomi, non si riveli come per l’Ici, Imu, Tasi e non si sa che altro, una fantasiosa creazione di sempre nuovi loghi che si accompagna a un unico fatto vero: gli italiani pagano e i politici inventano).
E arriviamo, infine, al terzo strato della cipolla. La difficoltà del dialogo tra culture, perfettamente interpretato da una Poli che dialoga con se stessa, moltiplicandosi in scena attraverso una duttilità vocale e gestuale che le permette di impersonare un quasi infinito numero di ruoli contemporaneamente, tanto che, alla fine dello spettacolo, non si è certi che questa o quella gag fosse interpretata solamente da lei.
Riusciranno i nostri due continenti a comunicare? Sembra anacronistico in tempi di sudditanza europei ai diktat Us porsi tale domanda, ma se si guarda al di là del nostro ombelico, la domanda diventa più che legittima. Dialogo tra religioni, tra religiosi e atei, tra Stato laico e chiese, tra destra e sinistra (se se ne trova una), e così via. Le ragioni del dialogo sarebbero molte, ma ne basterebbe anche una sola: disarmare il mondo e sedersi a tavolino.
Applauso a parte per la scena del sogno/incubo della signora Umney: il taglio delle manine è un pezzo di bravura a sé.

Simona M. Frigerio


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Lo spettacolo è andato in scena:
La Città del Teatro
 

via Toscoromagnola, 656 – Cascina (Pisa)
mercoledì 1° aprile, ore 21.00
http://lacittadelteatro.it

Il Fantasma di Canterville
secondo la Signora Umney
di Ugo Chiti

liberamente tratto da Oscar Wilde
con e regia di Lucia Poli
con Simone Faucci e Carlo Zanotti
musiche Andrea Farri