A Pisa arriva uno tra i maestri del Surrealismo, Salvador Dalí, con 150 opere provenienti dalla Fundació Gala-Salvador Dalí di Figueres, dal Salvador Dalí Museum della Florida, e dai Musei Vaticani. Molti i lavori in mostra, ma poche le esperienze eterodosse del maestro catalano.
L’annuale mostra di Palazzo Blu, che inaugura la stagione culturale pisana, quest’anno presenta la figura quanto mai complessa di Salvador Dalí. Dell’artista che ha lasciato un’imponente casa-museo a Figueres (sua città natale), che racchiude come uno scrigno prezioso esempi significativi dei suoi molteplici interventi (in scenografia e costumistica, pittura, design, trompe-l’œil e oreficeria), arrivano a Pisa principalmente due nuclei tematico/disciplinari. In primis, le illustrazioni de La Divina Commedia e dell’Autobiografia di Benevenuto Cellini. E, secondariamente, alcuni quadri dell’ultimo periodo (specificamente del 1982) che riprendono à la menière di Dalí le produzioni manieriste (e magniloquenti) di Michelangelo, trasponendo, in una pittura che nei toni azzurrati rimanda ai marmi scolpiti, personaggi tratti dalla Tomba di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino (a Firenze, in San Lorenzo), il Mosè (della Chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma) e la Pietà vaticana. Quest’ultima in particolare, reinterpretata da Dalí in Eco geológico, La Pietà (forse la più surrealista delle opere in mostra), sebbene si appropri e conservi la perfezione scultorea michelangiolesca del periodo, traspone l’assunto religioso su un piano insieme più umano e più astratto, dove le figure fissate nel marmo sembrano radicarsi in un ciclo terreno (geologico, appunto) assumendo fattezze rocciose (il Cristo, soprattutto) e, nel contempo, aprendosi (il seno di Maria) a squarci di dolore che vanno aldilà della perdita del figlio, per evocare forse la perdita di un ecosistema intatto.
Interessanti i video proiettati che mostrano sia Dalí in visita in Italia (in filmati in bianco e nero dell’Istituto Luce, godibili nella loro ingenuità), sia la casa-museo di Figueres. Purtroppo, a parte quest’ultimo, il loro posizionamento in spazi angusti, dove è difficile sostare, e l’audio troppo basso, ne inficiano la fruibilità.
Ma veniamo ora alle illustrazioni, partendo dalla sezione finale della mostra, che presenta quelle ideate per l’Autobiografia di Benvenuto Cellini – corredate dalle spiegazioni di Gala su dove situare le stesse all’interno del libro. Didascalie molto utili per il visitatore al fine di comprendere a cosa si riferiscano gli schizzi, che sembrano rimandare sia a momenti di vita che a studi, architetture fantastiche, opere d’arte che Cellini ha immaginato o realizzato. Purtroppo, gli appunti sono quasi indecifrabili sia a causa della calligrafia minuta, in matita sbiadita, sia della lingua utilizzata da Gala, il francese – che non è detto sia noto al visitatore medio di Palazzo Blu. Una curatela più attenta avrebbe tradotto questi appunti in italiano, stampandoli su supporti appropriati.
Il clou dell’esposizione è costituito dalle illustrazioni (in gouache, inchiostro e acquerello) de La Divina Commedia. Commissionate dal Ministero della Pubblica Istruzione italiano, nel 1950, non ebbero fortuna critica. A causa dell’accoglienza piuttosto fredda e di una serie di accuse (dall’essere pornografiche al fatto che Dalí, straniero, non possedesse la giusta sensibilità per illustrare il capolavoro di Dante), queste deliziose illustrazioni non furono utilizzate e il maestro catalano le vendette, successivamente, a Joseph Forêt, che le mandò alle stampe dieci anni dopo.
Le illustrazioni possono definirsi una piccola summa delle scuole artistiche del Novecento alle quali Dalí si rifece, più o meno esplicitamente; e degli stilemi propri del maestro surrealista. Possiamo fare qualche esempio per meglio chiarire. L’anamorfismo tipico di molte tra le sue opere si ritrova sia in Bertrand de Born che nel Minosse. Mentre ne Il supplizio degli ipocriti e in Avarizia e Prodigalità il busto di manichino (del primo) e i volti di statua sproporzionati (del secondo), posizionati in spazi esterni che rimandano, nel primo caso, a lande desolate o lunari e, nel secondo, ad architettura immaginifiche, rivelano chiaramente la loro matrice metafisica. E ancora, Gli indolenti così come I negligenti, restituiscono nei colori slavati dell’acquerello e nelle pennellate lievi una sensazione di abbandono che ricorda, inevitabilmente, il periodo simbolista boccioniano e Quelli che restano. Mentre, L’angelo caduto – con quei cassetti che escono dal corpo dolente e sconfitto – è ancora un chiaro esempio del labile confine tra surrealismo e metafisica. Così come le figure molli, rese famose dagli orologi e proprie di Dalí, emergono in I bestemmiatori o in Gli uomini che si divorano tra loro.
Il maestro catalano dimostra grande affinità con Dante che, in Paradiso, deve cedere alla limitatezza del linguaggio di fronte all’Empireo: “Da quinci innanzi il mio veder fu maggio/che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede,/e cede la memoria a tanto oltraggio”. Altrettanto fa, quindi, Dalí, che sembra lasciare le sue figure abbozzate, propendendo per una stilizzazione e una indeterminatezza che si accompagnano al venir meno della favella dell’Alighieri (si vedano, in particolare, Nell’Empireo, Preghiera di San Bernardo, Il cielo di Venere e, ancora, L’angelo del sole e Lo splendore di Beatrice). Mentre i colori si fanno sempre più brillanti, infusi dalla luce celeste ed espressione di una gioia estatica ed estetica (Lo splendore dei beati, Apparizione di Adamo e Gloria Patri, tra gli altri).
Il gioco al rimando (artistico o storico) potrebbe continuare a lungo. Purtroppo è un gioco per pochi eletti perché nessuna didascalia o video aiuta il visitatore a rintracciare la pena descritta così da ammirare la trasposizione del testo letterario in immagini, operata del maestro catalano; né sono segnalate le affinità con le correnti, e i temi e stilemi di cui sopra. Il che rende quasi impossibile apprezzare il lavoro di cesello e di ricerca fatto da Dalí. E non si può sottacere che il posizionamento a parete (a un’altezza intermedia), e non in teca museale, rende alla lunga difficile il soffermarsi sulle illustrazioni con la dovuta tranquillità.
Infine, l’accento alla religiosità di Dalí, che pervade l’intera esposizione, e che sembra invadere il suo universo come un amalgama obnubilante, ci sembra messo alla berlina proprio dall’ultima foto del maestro, che lo ritrae come preferiamo immaginarlo – seduto in mutande di fronte a un quadro con rimandi sacri.
Simona M. Frigerio e Luciano Uggè
La mostra continua:
Palazzo Blu
Lungarno Gambacorti, 9 – Pisa
fino a domenica 5 febbraio 2017
orari: lun-ven 10.00-19.00; sab-dom e festivi 10.00-20.00
www.palazzoblu.it
Dalí. Il sogno del classico
a cura di Montse Aguer
con il patrocinio di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ufficio Culturale dell’Ambasciata di Spagna in Italia, Comune di Pisa, Regione Toscana, Provincia di Pisa
Ministerio de Cultura, Gobierno de España
organizzazione Fondazione Palazzo Blu, Fundació Gala-Salvador Dalí e MondoMostre
con la collaborazione Fondazione Pisa
con il contributo Real Academia de España en Roma
www.mostradalipisa.itCatalogo:
Dalí. Il sogno del classico
introduzione di Montse Aguer
contributi di Thomas Clement Salomon, Lucia Moni, Carme Ruiz González, Irene Civil, Juliette Murphy
Skira, 2016
176 pagine, 24 x 30 cm, 195 illustrazioni a colori, brossura
prezzo: 35,00 Euro
www.skira.net