Il giornalista Gianni Mura racconta con trasporto il mondo della canzone, dal dopoguerra ai giorni nostri. Un libro sospeso tra note di costume, fatti storici e ricordi autobiografici, che restituisce ritratti intimi di artisti che hanno segnato la storia della musica.
La musica è un elemento immancabile nella vita di ciascuno di noi. In fase gestazionale è il ritmico battere del cuore materno che scandisce le lunghe giornate del nascituro; dopo il parto è la maestra che spiega con leggerezza i fatti della vita. Gianni Mura, firma storica de La Gazzetta dello Sport e, con la moglie Paola, critico enogastronomico per Il Venerdì di Repubblica, affida a Confesso che ho stonato la narrazione del suo personale percorso formativo attraverso i generi e gli interpreti musicali.
L’incipit del volume è dedicato all’infanzia trascorsa in caserma: a Mura, figlio del maresciallo, i carabinieri scapoli insegnano le canzoni nei dialetti delle loro terre d’origine e i successi trasmessi dalla radio, in un’epoca in cui la televisione ancora non è il fulcro degli ambienti domestici. La giovane mente si spalanca alla scoperta di luoghi lontani, di problematiche sociali, della morte e dell’amore. Forte di questa educazione Gianni Mura progetta un futuro da chansonnier, drasticamente interrotto dagli amici che lo zittiscono facendogli notare quanto sia stonato.
Sfortunato lui che vede frantumarsi i sogni ma fortunati noi perché in questi anni Mura ci ha emozionato con le sue cronache sportive e ora ci delizia con questo libro (auto)biografico che attraversa oltre sessant’anni di canzone. Italiana anzitutto, a partire dai protagonisti del Festival di San Remo, ma anche francese, spaziando tra fatti di costume e cronache dell’epoca. Costante è infatti il confronto con quanto accade Oltralpe, dove la canzone è considerata un’espressione artistica impegnata e dove si assiste, con ampio anticipo, a fenomeni socio-culturali che poi prenderanno piede anche in Italia. Ogni capitolo spalanca le finestre su un particolare aspetto del mondo delle sette note. In Confesso che ho stonato trovano spazio: una straordinaria dichiarazione d’amore alla fisarmonica; una rassegna delle assurde modifiche imposte dalla censura ai testi; le canzoni dedicate al mondo del lavoro e alle sue vittime; una riflessione sulla stretta relazione – e i vicendevoli scambi – tra poesia e canzone, nonostante gli autori di entrambi i generi si ostinino a dipingerli come mondi a sé stanti.
Gianni Mura, partendo dai dati biografici ufficiali, traccia emozionanti ritratti degli interpreti più apprezzati. Egli spiega con passione come Édith Piaf abbia trasposto le sofferenze infertele dal destino in interpretazioni epiche; come Sergio Endrigo orfano di padre ed esule abbia saputo farsi strada tra i discografici, compiendo scelte vincenti sull’onda dell’istinto. Mura racconta poi con tristezza le esibizioni milanesi di Billie Holiday nel 1958: quella mortificante allo Smeraldo, in cui Lady Day si trova dinnanzi un pubblico ostile perché non preparato al suo modo di fare musica, e quella al Gerolamo, organizzata dai fan per dimostrare alla cantante statunitense il proprio calore. Inaspettata la rivelazione sulla passione di Enzo Bearzot per il jazz, cui il CT dell’Italia campione del mondo di calcio nel 1982 si ispira per l’organizzazione in campo della squadra.
Al di là degli aneddoti, nel capitolo dedicato a Enzo Jannaci emerge la componente autobiografica del libro: qui, più che in altre parti, le parole si gonfiano d’affetto e toccano il cuore del lettore. Gianni Mura ripercorre gli anni eroici del mondo musicale meneghino o, almeno, della porzione di città compresa tra piazza Adigrat, via Sismondi e via Lomellina. Con poche pennellate fa rivivere sulla carta l’Uomo Jannaci prima del cantautore di successo: l’amicizia fraterna con Beppe Viola; la passione per il jazz condivisa con Giorgio Gaber insieme alla consapevolezza che suonando quel genere di musica non avrebbero fatto una lira; le scelte controcorrente non sempre capite dal pubblico; il percorso professionale di medico e la grande attenzione verso i pazienti, oggi orfani delle sue premure.
La prosa lieve renderebbe la lettura tanto veloce quanto piacevole eppure noi suggeriamo di prevedere di dedicare molto tempo a Confesso che ho stonato. Non perché il libro sia un tomo dalle proporzioni colossali ma perché, probabilmente, si finirà per alternare alla lettura l’ascolto di molte delle canzoni citate. Si vorranno scoprire brani sconosciuti, ci si lascerà straziare una volta ancora da Non, je ne regrette rien di Édith Piaf, si canticchieranno i vecchi successi di San Remo o il pensiero correrà all’ultima volta che si è dedicato Io che amo solo te di Sergio Endrigo. Forse l’autore, per dirla come la musicista Giovanna Marini, canta in modo “diatonico, che piacerebbe a Luigi Nono” ma sa pigiare i tasti del computer nella sequenza più appropriata per far vibrare l’animo del lettore. Sospeso tra episodi divertenti e biografie amare, non si potrà fare a meno di divertirsi e commuoversi, realizzando che, come Mura spiega, è musica “leggera” solo per definizione ma dentro ci sono brani di vita vissuta.
Confesso che ho stonato
Gianni Mura
Note d’Autore Skira, 2017
14 x 21 cm, 112 pagine, brossura
prezzo: 13,00 Euro
www.skira.net