Gioco, sogno, paura

La nuova produzione di Fortebraccio Teatro va in scena al Teatro Era di Pontedera. Un’edizione decisamente innovativa dell’ultimo grande e misterioso classico di Luigi Pirandello: I giganti della montagna.

Nell’avvicinarsi a questo testo, l’attore e regista Roberto Latini chiarisce immediatamente le sue intenzioni: lasciarsi essere, ricercare nuovi significati possibili – liberi di partire all’avventura, librandosi verso un ignoto che verrà. Perché chiarire questo punto? Perché si tratta di un invito anche per il pubblico, un invito ad abbandonarsi alle numerose scene sospese, che si avvicendano come i sogni, fino a sembrare, a volte, delle allucinazioni.
Come i membri della compagnia della Contessa possiamo resistere, interrogarci e razionalizzare, o possiamo accogliere l’invito di Cotrone (e di Latini) e lasciarci andare.
Per parlare di questo spettacolo ha senso presentare la trama, le vicende – tra l’altro, dato la fama del testo, ormai largamente note – che vedono protagoniste le due Compagnie nella magica villa detta la Scalogna? Non in questo caso, dato che si tratta di uno spettacolo che vive soprattutto di suoni e immagini, in cui luci e musiche contribuiscono alla costruzione di quadri suggestivi e potenti, a cui la trama offre soltanto una struttura scarnificata, una cornice nella quale la tela è dipinta in maniera originale da Roberto Latini.
Tre le parole chiave: immaginazione, credere, ma soprattutto paura. Iniziamo dall’ultima, la paura, ossia quel sentimento che allontana gli uomini gli uni dagli altri, dai fantasmi archetipici e, in primis, da quelli interiori. Il timore che vogliono incutere gli scalognati, quello della notte, delle visioni che animano la villa e dei giganti – così forti e grandi, così spaventosi, non perché malvagi o crudeli, ma semplicemente per la loro enormità.
Arriviamo così all’immaginazione e a tre riflessioni sul teatro: il gioco, la missione, la sua assenza. Un’assenza che non consegue da un scelta consapevole, da una esclusione. I giganti semplicemente non sono in grado di immaginare il teatro, le loro attività li hanno resi forti e coraggiosi – spartani in certo qual modo – ma anche ottusi e ripiegati su loro stessi. In un’impossibile equazione dei sentimenti, la loro mancanza di immaginazione sta forse a quella della Compagnia come quella di quest’ultima sta all’estro di Cotrone. Agli scalognati basta l’immaginazione perché tutto ciò che pensano prenda vita – un fenomeno, questo, di difficile comprensione anche per i colleghi attori che stanno ospitando. Cotrone – quasi un mistico del teatro, un Prospero senza bacchetta magica – possiede un’anima libera di essere – lì, nella villa, dove gli attori non hanno niente eppure hanno tutto. Ma cosa vuole, al contrario, Ilse? Ilse vuole donare il teatro agli altri, non le basta rappresentarlo per sé. La sua impellenza a recitare, il suo bisogno compulsivo, risponde alla sua idea di missione – quella di portare l’arte nel mondo. Per Cotrone non c’è niente da comunicare a nessuno: così come un gioco, il suo teatro si esprime e trova la propria ragione d’essere tra gli stessi partecipanti e non aspira a farsi missione o a ricoprire ruoli salvifici. Gli scalognati hanno fame di teatro e si divertono, si nutrono grazie a e di esso, esplorano aspetti del reale inaccessibili agli altri. La Compagnia di Ilse, al contrario, non può fare a meno di continuare nella sua missione suicida e autodistruttiva.
Ma torniamo al secondo termine chiave e chiediamoci: credere è lasciarsi andare? O ha piuttosto a che fare con un gesto di volizione? Si può davvero decidere di credere? E imponendosi tale obbligo, la nostra fede ha lo stesso valore? Gli scalognati credono, ma credere non è uno sfizio o un lusso, non si crede per curiosità. Si crede per mestiere, come i bambini credono naturalmente. Finché crescono e allora devono rivestire i loro giochi di un senso superiore o abbandonarli per sempre. Cotrone e i suoi attori abitano la soglia, il confine agli orli della vita e danno vita e spazio ai fantasmi, quelli che abitano la villa, quelli che infestano i sogni, quelli propri della coscienza. E la paura ritorna: è difficile sopravvivere dando troppo spazio ai fantasmi. La scelta di Cotrone è stretta parente della follia, ma il mago si salva, è lucido e padrone di sé: come riesce a salvarsi dalla follia? Magie del teatro…
Allo spettatore, quindi, giunge l’invito: varcare il confine e vedere che cosa succede. Non chiedere, non interrogare, ma ascoltare e aspettare. Per abituarsi a viaggiare nella nebbia senza avere paura, o ad attraversare zone abitate dal sogno e dall’incubo. Ma come riuscire a immaginare se non c’è nulla in grado di ispirarci visioni altre? Oggi la villa non è più solo metafora, un luogo metafisico o immaginario, ma è prima di tutto un luogo fisico che le persone non abitano (gli attori di Cotrone vivono il mondo circostante e ne godono, sotto le stelle); i crepuscoli sono fenomeni fisici che le persone non comprendono – quei crepuscoli che, secondo Cotrone, sono gli unici a rendere gli uomini chiaroveggenti. Come è possibile fare teatro se non ci sono più luoghi dell’inquietudine, se non esistono più stazioni di mezzo, ma solo il buio o la luce abbagliante? Quali fantasmi è possibile interrogare in un’era in cui tutto appare illuminato a giorno – chiaro e lampante? Il teatro ha molti giganti intorno a sé. Eppure, come affermava Strehler, la lotta che i giganti da sempre combattono contro gli dei (contro l’assoluto e, quindi, contro l’assoluto dell’arte) li ha sempre visti vittoriosi e, allo stesso tempo, irrimediabilmente perdenti. Chi scompare allora alla fine dello spettacolo? Non si sa. Probabilmente l’uomo, ma qualcuno al contrario resta. Resta la maschera, doppio metafisico dell’attore, ma soprattutto ente metafisico che vive in uno spazio oltre e altro, quello sulla cui soglia stava Cotrone. E quello spazio esiste ed esisterà sempre. Il tempo dei giganti finirà, forse. Lo spazio altro del teatro sarà salvo anche senza di noi, perché non ha bisogno di noi, non abita questa terra. Possiamo riscoprirlo o dimenticarlo, farci del bene e goderne e salvarci, oppure non farlo e perire. Ma ciò non lo riguarda.

Mailè Orsi

 

Lo spettacolo è andato in scena:
Fondazione Pontedera Teatro
Parco Jerzy Grotowski
via Indipendenza 
Pontedera (Pisa)
venerdì 20 marzo, ore 21.00
www.pontederateatro.it
 
Fortebraccio Teatro presenta:
I Giganti della Montagna
atto I e atto II

di Luigi Pirandello
adattamento e regia Roberto Latini
con Roberto Latini
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi, Festival Orizzonti, Fondazione Orizzonti d’Arte, Emilia Romagna Teatro Fondazione
www.fortebraccioteatro.com