Attori ottimi ma ingabbiati in una recitazione veristica, Il Giardino dei Ciliegi per la regia di Roberto Bacci, alla Pergola di Firenze il 23 e 24 febbraio, trasforma la sala – ma non basta per un’invasione emotiva.
Esteticamente il palco sembra un quadro: aereo, irreale, le quinte bianche, il pavimento coperto di coriandoli, un fondale di teli trasparenti. Per movimentare la sua opera, il regista Roberto Bacci opta per una passerella che dal palco si allunga in platea – dove i personaggi camminano e si muovono, circondati dal pubblico. Unica invenzione, che però poco aggiunge alla messinscena in termini sensoriali, emotivi, mentali. Questa versione non affonda nel terreno e non mette radici nel profondo, come potrebbe fare qualsiasi lettura de Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov. Le semplici parole, nel testo originale, sono accostate in modo così lucente, puro e allo stesso tempo duraturo e forte, da arrivare almeno alle porte del cuore. Ma qui, la lingua romena e i sovratitoli in italiano (come molti in sala ammettono), non aiutano la fruibilità dello spettacolo; e la recitazione essenzialmente naturalistica (impeccabile, certo) degli attori del Teatro Nazionale di Cluj-Napoca, diviene formale – pur nella sua esatta precisione. Alcuni momenti di silenzio si rivelano più utili del dialogo e danno, allora sì, quel senso di mistero, vastità, paura di essere vivi che invade nell’ultimo capolavoro, compiuto prima di morire, dell’amato Maestro russo.
Qui manca il malessere, la confusione spirituale dei personaggi, il precipizio. E manca anche una regia potente, se non per i movimenti incessanti (e le ennesime scene di nudo), che celano un atteggiamento classico verso la drammaturgia, e risentono della mancanza di un eccesso, un contrasto, un dettaglio fuori posto che sconvolga e interessi i sensi – e l’inconscio.
Riesce a commuovere l’attore Sorin Leoveanu, che interpreta il commerciante segnato da un’infanzia triste, ovvero il timido e arrivista Lopachin. E il monologo struggente di Trofimov, nonostante la caricatura eccessiva del personaggio, umanizza lo spettacolo. Il canto finale con il naso da pagliaccio, gli operai con una motosega (vera) in funzione, i musicisti quasi solo pròtesi; e l’atmosfera sognante – poco decadente e poco disperata e fiduciosa insieme – rimangono tali. Questo Giardino dei ciliegi sembra una favola più che una tremenda e bellissima profezia sulla cementificazione ingiustificata nell’Occidente industrializzato, unita alla speranza dell’avvento di un Uomo Nuovo – quale evoluzione benefica del genere umano.
Tessa Granato
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro della Pergola
via della Pergola – Firenze
martedì 23 e mercoledì 24 febbraio, ore 21.00
www.teatrodellapergola.com
Livada de viŞini – Il giardino dei ciliegi
di Anton Čechov
traduzione Maria Rotar
drammaturgia Stefano Geraci
regia Roberto Bacci
con Ramona Dumitrean, Alexandra Tarce, Anca Hanu, Ionuț Caras, Sorin Leoveanu, Cristian Grosu, Cǎtǎlin Herlo, Irina Wintze, Radu Lǎrgeanu, Patricia Brad, Cornel Răileanu, Matei Rotaru e Miron Maxim
musicisti Pusztai Renato Aladar e Albert Gábor Balázs
scene e costumi Adrian Damian
direzione tecnica Doru Bodrea
luci Jenel Moldovan
suono Marius Rusu
assistenti luci Alexandru Corpodean, Mădălina Mânzat
assistente scenografia Florin Călbăjos
una produzione Teatro-Nazionale di Cluj-Napoca