La mostra fotografica digitale targata Mudec e IL si inserisce nel dibattito globale sulle strategie da attuare al termine del lockdown, instaurando nuovi e più consapevoli equilibri con la natura e la società.
Tutto d’un tratto un microscopico virus ha posto fine al delirio di onnipotenza dell’essere umano, obbligandolo a prendere coscienza della propria vulnerabilità.
I timori derivanti dal veloce diffondersi di Covid-19 hanno indotto la popolazione mondiale a esiliarsi progressivamente – più o meno volontariamente – all’interno delle proprie abitazioni, prendendo le distanze da tutto e tutti, limitandosi a osservare il mondo da lontano, a guisa dei viaggiatori incontrati in treno da Giovanni Battista Righetti (Untitled, 2019) che scrutano il paesaggio dal finestrino.
Da poche settimane, con ancora scolpite nella mente le immagini dei cortei di mezzi militari che lasciano il cimitero di Bergamo carichi di feretri, gli italiani hanno lentamente ripreso possesso delle proprie vite e degli spazi urbani, mossi da un desiderio di “ritorno alla normalità” più forte della paura. Le persone, come marmotte risvegliatesi da un lungo letargo, si sono affacciate sull’uscio di casa con prudente circospezione mista a incontenibile curiosità. La pittoresca fotografia di Diego Mayon scattata alla Biennale di Venezia del 2017 all’interno di Just about virtues and vices in general, un’opera di Erwin Wurn, potrebbe essere assunta a metafora di questo delicato momento storico.
Le fotografie citate fanno parte della mostra Il mondo che verrà. 50 fotografi internazionali interpretano il “dopo” inaugurata virtualmente venerdì 15 maggio e visibile per tre mesi sul sito Internet di IL, il mensile di Sole 24 Ore. La mostra è curata da Nicoletta Polla Mattiot, direttrice di IL, e ben accompagna il nuovo corso della rivista che, per un’infausta successione di eventi, coincide con la necessità di ripensare le modalità con cui l’essere umano potrà relazionarsi con i suoi simili, con le innovazioni tecnico-scientifiche e con la natura.
Nel complesso sono 50 immagini dall’alto valore iconico che, a prescindere dall’effettiva data di realizzazione, obbligano il pubblico a pensare ai livelli di progresso raggiunto, sovente arrivando a prevaricare una natura che ora mostra segni di ribellione a tanta arroganza. È giunta l’ora che l’uomo si fermi e si interroghi su quali presupposti fondare i prossimi passi: si prendano i ritratti del cucciolo di cane clonato (Seoul, Corea del Sud) realizzato da Alberto Giuliani o di Sophia – l’umanoide più sofisticato finora costruito – scattato da Giulio Di Sturco, emblemi di importanti dibattiti etici che hanno tenuto banco negli ultimi decenni. Si osservino quindi Come What May (New York, 2016) di Lorenzo Castore e Via d’uscita (Bologna) di Michele Lapini per constatare come il progresso non costituisca garanzia di benessere diffuso ma, anzi, accentui il divario tra le classi sociali. Un divario che la recente crisi economica – iniziata ben prima della pandemia – rischia di acuire e si manifesta in tutta la sua drammaticità nella difficoltà dei Paesi più poveri ad accedere ai dispositivi medici e ai vaccini per combattere Covid-19.
Tra le 50 fotografie in mostra ne compaiono pure alcune scattate in periodo di lockdown: ci sono Sara ritratta da Gianni Cipriano mentre si affaccia dalla finestra di casa (Napoli, aprile 2020) e Silvia Camporesi che in Domestica racconta il rallentamento dei ritmi quotidiani tra azioni di routine e piccoli gesti volti a esorcizzare la paura per il mondo esterno e il futuro. Contemporaneamente la natura, incurante del destino umano, si scatena rigogliosa a simboleggiare l’eterna rinascita primaverile dopo i rigori dell’inverno come in Potpourri (England, 3 August 2019) di KoTo BoLoFo o nella foto tratta dall’archivio familiare di Federica Sasso (eseguita dal nonno nel 2001). Una natura che, come ammonisce Mario Peliti (Cannaregio, Parco Villa Groggia, 28 marzo 2016), approfitta dell’assenza umana per riappropriarsi di spazi a lungo sottrattile, ripristinando l’ordine originario delle cose.
Ne Il mondo che verrà. 50 fotografi internazionali interpretano il “dopo” sono raccolte immagini selezionate dai singoli artisti attingendo al proprio archivio, scegliendo uno scatto che potesse descrivere le aspettative per un futuro migliore e uno sviluppo più consapevole. Ogni fotografia è accompagnata da un testo degli autori che unisce riflessioni sul presente ad auspici per il “dopo”, testi che di volta in volta assumono la forma di uno slogan o di una poesia come nel caso di Giovanni Gastel.
Ha in realtà un tono estremamente poetico anche Adriana in the sky, la fotografia scelta da Gastel che, in un confronto con la curatrice della mostra, spiega come l’umanità abbia bisogno di ritrovare leggerezza, di sgravarsi del carico di tensioni morali accumulate nei secoli. “Io penso e spero che questo grande attacco alieno possa servire a unire l’umanità un po’ di più. Siamo tutti homo sapiens e siamo tutti molto vulnerabili. Questo è il famoso attacco alieno di cui si parlava da ragazzi, si diceva “il mondo si può unire solo in caso di attacco alieno perché allora cadranno le barriere religiose, politiche, di bandiera e l’uomo capirà di essere uno”. Il sogno è che questo succeda e noi si ritrovi pace stabile con la natura. Usciremo molto cambiati. Io molto, a livello psicologico e di tensione morale verso il mio pianeta, verso la Terra più che verso le nazioni”. Una leggerezza propria dei bambini “custodi di accessi preclusi” come specifica Lea Anouchinsky in Shalom (Gerusalemme, 2011), esseri così poco pragmatici da saltare con felice ostinazione sino allo sfinimento pur di arrivare a toccare il cielo. Una leggerezza riconquistata da Paolo Nespoli che, librandosi nell’aria, in orbita attorno alla Terra, dalla Stazione Spaziale Internazionale durante la Missione Vita (2017) fotografa l’alba di un nuovo giorno sul Pianeta azzurro, allegoria de “il mondo che verrà, tutto nello stesso istante, dall’alba al tramonto, dal sole alla luna, e in mezzo lo spettacolo dell’aurora boreale e delle stelle che unisce ogni meraviglia della natura. Ci sono delle nuvole, delle ombre, certo, sono quelle di oggi, le vediamo anche da terra. Ma all’orizzonte c’è luce e ci aspetta un nuovo domani”.
Una visione ideale e partecipata cui ciascuno è chiamato a contribuire. Per tale motivo il pubblico di Il mondo che verrà è invitato ad esporre i propri progetti spedendo una foto attraverso i canali social di Mudec e IL. I materiali ricevuti saranno composti in un wall virtuale che diventerà il cinquantunesimo scatto della mostra.
Silvana Costa
La mostra continua su:
ilsole24ore.com/mostradigitaleil
sui canali social di Mudec e IL è pubblicato il racconto del progetto e il backstage della mostra con videointerviste ai protagonisti
fino a sabato 15 agosto
Il mondo che verrà
50 fotografi internazionali interpretano il “dopo”
a cura di Nicoletta Polla Mattiot
promossa da Mudec e IL
fotografi in mostra: Alidem, Fabrizio Annibali, Lea Anouchinsky, Fenton Bailey, Mattia Balsamini, Giuseppe Biancofiore, Koto Bolofo, Fabio Bonanno, Silvia Camporesi, Carlotta Cardana, Max Cardelli, Lorenzo Castore, Gianni Cipriano, Wendelien Daan, Giulio Di Sturco, Simone Donati, Alice Fiorilli, Giorgia Fiorio, Luca Gabino, Mauro Galligani, Marco Garofalo, Giovanni Gastel, Matilde Gattoni, Piero Gemelli, Manuele Geromini, Marta Giaccone, Alberto Giuliani, Claudia Gori, Ron Haviv, Gabriele Inzaghi, Michele Lapini, Martino Lombezzi, Fabrizio Martinelli, Diego Mayon, Cristiano Miretti e Andrea Viviani, Federico Miletto, Nadia Moro, Jacopo Moschin, Claudia Mozzillo, Paolo Nespoli, Pietro Paolini, Mario Peliti, Simone Perolari, Laila Pozzo, Rankin, Giovanni Battista Righetti, Rocco Rorandelli, Pentti Sammallahti, Federica Sasso, Antonino Savojardo, Gaia Squarci, Simone Tramonte, Paolo Verzone, Zoe Vincenti.Catalogo:
Il mondo che verrà
50 fotografi internazionali interpretano il “dopo”
a cura di IL, 2020
scaricabile da https://ilmagazine.ilsole24ore.com/