Claudio Morganti ed Elena Bucci, al Teatro Era di Pontedera, con la Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto, ci fanno sentire la puzza dei maiali. Sembrerebbe divertente, se non rischiasse di trasformarsi in tragedia.
Rientrato dall’estero, con una carriera di successo alle spalle, il grande attore Attilio Vecchiatto con la moglie Carlotta, giunge in Italia, dove l’unico ingaggio che ottiene è nel teatro di una città di provincia, Rio Saliceto. Giunti in teatro, i due attori non trovano nessuno. Che abbiano sbagliato posto?
Questa, in breve, la sinossi del testo di Gianni Celati. La regia di Morganti prevede due leggii per gli attori; tavolini imbanditi per gli spettatori (nel nostro caso, trattandosi di una sala teatrale “regolare”, solo per la prima fila); e un tavolino sul fondo per gli interpreti, che vi si siedono durante l’intervallo.
Morganti ci accoglie, come un vero ospite, ci invita a prendere posto, a godere di ciò che ci sarà offerto (letteralmente e metaforicamente?) e, poi, parlando parlando, scivola dentro la recita di Vecchiatto dando inizio allo “spettacolo”.
Concedetemi, adesso, una breve digressione personale. Abbandonandomi alle voci dei due (notevoli) interpreti, chiudo gli occhi, nella convinzione che, essendo una semplice lettura, si tratti di qualcosa da ascoltare più che da vedere. Al contrario, poco dopo, sono costretta ad aprirli. Non saprei spiegare per quale motivo – o richiamata da che cosa – ma comprendo che devo tenerli aperti, e ciò che vedo sono gesti e movimenti minimali. Riscopro il valore della posizione di un corpo, dei moti verso l’altro, del semplice gesticolare delle mani. Tutto assume valore: scintilla, riverbera, diventa incredibilmente significante.
La lettura si propone come un grado zero, un buio della visione da cui ogni piccolo gesto è luce che risplende – senza perdersi nell’abbaglio chiassoso di troppi gesti, apparati o movimenti.
Come affermato dallo stesso Morganti, il testo di Celati si rivela un’incredibile macchina drammaturgica, dai tempi perfetti e dai meccanismi impeccabili. Una macchina particolare che, come musica minimalista, sembra ripetersi con variazioni quasi impercettibili e procedere per leggere varianti, con un andamento che viene esaltato dalla lettura stessa. Oltre che essere drammaturgicamente impeccabile, però, il testo realizza un curioso, angosciante e – per il pubblico – imbarazzante gioco di scatole cinesi.
Vecchiatto è un predicatore laico che annuncia la pessima novella. Colpa di giornali e tv, il mondo si è trasformato in un insopportabile porcile, e l’anziano attore è uno tra i pochi che continua a sentirne lo schifo, subendolo ogni istante sulla propria pelle. Sono necessarie una sensibilità, una capacità di sopportazione e, paradossalmente, una fede nell’umanità fuori dal comune per mantenere viva la capacità di non abituarsi all’orrore.
Occorrono la sete di assoluto e la libertà di non tollerare, di non concepire il compromesso. Se il resto del mondo si assuefà, sviluppando la tolleranza e, alla fine, un certo gusto per il mondo così com’è (perché sembra far parte del normale processo di crescita e socializzazione la capacità di tollerare l’indecenza, sia che si tratti di indecenza morale o intellettuale), ogni giorno per Vecchiatto è fatto di sofferenza, panico – che, nell’anziano attore, ostinato, non si trasformano in rassegnazione, ma in amarezza, tristezza e solitudine. In un grande peso che sta là, sulla testa. Vecchio, noioso, brontolone – in definitiva, un disadattato. Figura di un passato che non può stare al passo con i tempi, perché i tempi non lo permettono e non lo sopportano, ricacciandolo indietro con violenza.
La recita di Vecchiatto diverte i pochi spettatori in sala a Rio Saliceto – irrispettosi. Anche il pubblico presente a Pontedera, però, si ritrova a ridere, e più l’attore si arrabbia e chiede silenzio e attenzione, più il pubblico ne ride. Il suo rimprovero arriva tuttavia come uno schiaffo. Chi è che sta parlando, ci si domanda. Il personaggio Vecchiatto o l’attore Morganti? L’uno o l’altro ce l’ha forse con noi?Curioso gioco di teatro nel teatro: l’attore mostra, indica con insistenza il pericolo. Il pubblico apprezza la narrazione e, al massimo, il gioco estetico. Si diverte.
Nelle note di sala, Morganti racconta della targa posta a Rio Saliceto, in ricordo delle vittime cadute combattendo il nemico fascista. I maiali e la loro puzza, che ossessionavano Vecchiatto, e gli industriali con le auto da ricconi, potrebbero essere tutti i protagonisti dei lavori di un George Grosz dei nostri tempi. Ottusi borghesi grassi che si crogiolano nel loro successo, che ridono pensando che ciò di cui si parla non li riguardi, che vada tutto bene. E il panico aumenta, cresce a ogni istante.
Come in una casa degli specchi, le parole di Vecchiatto rimbalzano, si riflettono e rimbombano – quasi moniti. Morganti ce le riporta e, con simpatia, ci offre il dopocena – vino, noccioline, frutta – rimanendo là, sulla scena, non si sa in quale mondo intermedio, fra il nostro e quello di Vecchiatto, come un ironico domatore di fiere, bestie, o maiali.
Mailè Orsi
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Era
Parco Jerzy Grotowski
via Indipendenza – Pontedera (Pisa)
29 e 30 gennaio 2016
www.centroperlaricercateatrale.it
www.teatrodellatoscana.itRecita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto
di Gianni Celati
regia Claudio Morganti
con Elena Bucci e Claudio Morganti
produzione Esecutivi per lo spettacolo