Per caso o per fortuna, il penultimo giorno del Festival propone i lavori di tre Compagnie che, da tempo e con gli ovvi distinguo di stile, sono rappresentative del teatro contemporaneo italiano.
In prima serata, nella Sala del Camino, ci accolgono una serie di scatoloni, disposti a caso, quasi a simboleggiare le giornate festivaliere giunte al termine. La performance Rzeczy/Cose si avvale di tabelloni sui quali sono concentrati i dati statistici annotati per anni dalla casalinga polacca Janina Turek. La sua quotidianità descritta con una minuziosità certosina in migliaia di quaderni.
Una serie di oggetti, estratti dagli scatoloni in maniera apparentemente casuale, danno forma ai frammenti di vita della donna, ma anche dei due interpreti in scena, Deflorian e Tagliarini. Frammenti che, immediatamente, si intrecciano ai nostri ricordi – di un viaggio, per esempio, che non sarà mai più solo suo/loro.
Oggetti smarriti nel percorso della vita che riaffiorano alle nostre mani, l’immaginazione che ci trasporta in un passato ricamato di foto sbiadite eppure così presenti, saluti su cartoline con fotografie a volte surreali nella loro vacuità, scritti a mano che restituiscono un modo di comunicare soppiantato dagli sms – e quelle attese per una risposta, cancellate dall’immediatezza di internet.
Anche la musica, generata da un gracchiante ma riconoscibile giradischi, crea complicità, rimandi a percorsi di vita anche diversi o vissuti con altri che affiorano in forma nuova, mediati dal tempo ma disponibili a nuove relazioni.
Colpisce la spontaneità del lavoro, il coinvolgimento passo dopo passo del pubblico, invitato a entrare e a partecipare a questa sorta di rito laico della quotidianità. Un’esplorazione che si vorrebbe, e potrebbe continuare per un tempo indeterminato – lieve e suggestiva.
Lo spettacolo successivo, in formazione, Studi verso Luciano – Ecografia di un corpo di e con Danio Manfredini, può dirsi un riassunto delle tematiche alle quali il regista ci ha abituato, affrontate anche con ironia. Di fronte a una scenografia, in continua e perfetta modificazione, incontriamo, di volta in volta, vari stati di emarginazione che, ostinatamente, ci accompagna ancora nel presente. Cambiano, però, i soggetti che ne sono afflitti. In molti sono a tutt’oggi coloro che si sentono abbandonati a se stessi, in attesa che qualcuno si accorga dei loro bisogni o assurti, loro malgrado, alla cronaca. La marginalità non è, però, l’eroinomane o l’omosessuale del lavoro di Manfredini, quanto piuttosto interi i popoli investiti dalle nuove situazioni di dominio, dalla globalizzazione che, anche sovvertendo in modo drammatico gli ordini costituiti, cerca di impossessarsi del controllo delle materie prime e dei commerci in tutto il mondo.
La poesia pervade Studi verso Luciano, mentre uno sguardo lieve contrasta con la ruvidezza del quadro dedicato al cinema a luci rosse. Vite che si incrociano senza intersecarsi, fatte di momenti intensi ma fugaci, di necessità materiali che condizionano l’esistenza. E, purtroppo, anche di luoghi comuni – perché il furto, collegato alla droga, alla necessità di sopravvivenza o come libera scelta, ci accompagna da sempre pur nella variabilità dei soggetti messi in campo.
Il progress di Manfredini, che scorre con linearità impeccabile intersecando voci preregistrate, sconfinando nella poesia per poi ritornare alla cruda realtà, si avvale di un cast attorale sempre all’altezza e di un Manfredini che fa da trait d’union tra i vari quadri che compongono lo spettacolo.
Come ultimo lavoro, in prima nazionale, Il Cantico dei Cantici di e con Roberto Latini. Una versione inaspettata dell’antico testo (IV° secolo a.C.) tanto caro alla religione ebrea e a quella cristiana – pur con interpretazioni e riferimenti differenti.
Da dietro una cornice stile studio radiofonico, le parole del testo sono restituite in chiave classica oppure rock. L’amore è il tema conduttore, ovviamente, ma visto nella sua accezione più ampia e totalizzante che accomuna in un abbraccio uomini e cose.
Latini è un dj infervorato con cuffie incorporate, salvo brevi pause, sempre nell’attesa della telefonata che può cambiare la vita. Momenti di paura e apprensione ad altri più gioiosi si alternano, come avviene in ogni relazione umana – dolore e gioia sono solamente le due facce della stessa medaglia.
Di fondo, la ricerca di un amore universale che abbracci tutto e tutti senza distinzione di ruolo e sesso. Un amore che cresce sino a ingigantire, a riempire l’intera scena, ogni cosa trasformandosi in portatrice del medesimo messaggio – dagli alberi agli strumenti di lavoro in un vortice che sembra senza fine.
Un’esibizione che porta a lasciarsi andare e a chiudere gli occhi per seguire musica e parole che si sostengono a vicenda in un fluire sempre più potente e che alimenta immagini vorticose ma, nonostante tutto, piene di tenerezza. Immagini che suggeriscono a ognuno la possibilità di esprimere in piena libertà il desiderio universale.
Luciano Uggè
Gli spettacoli hanno avuto luogo nell’ambito di Inequilibrio Festival 2017:
Castello Pasquini – varie location
piazza della Vittoria
Castiglioncello (LI)sabato 1° luglio
Sala del Camino, ore 19.30
Deflorian/Tagliarini presentano:
Rzeczy/Cose
teatroTenso 2, ore 21.00
Danio Manfredini presenta:
Studi verso “Luciano” – Ecografia di un corpo
teatro, spettacolo in formazioneSala del Ricamo, ore 22.15
Fortebraccio Teatro presenta:
Il Cantico dei Cantici
teatro