Teatro i. Lo stato delle cose secondo Federica Fracassi.
Nel 2014 Artalks intervistava Monica Tricario, dello Studio Piuarch, che descriveva il progetto realizzato dal suo studio per il nuovo Teatro i . Sono trascorsi due anni e non solamente il progetto è rimasto sulla carta, ma Teatro i – una delle realtà contemporanee più interessante in ambito italiano – ha dovuto chiudere anticipatamente la Stagione. Dopo la Riforma del Fus del 2014, sono molte le realtà che si trovano in situazioni di sempre maggiore disagio (l’ultima notizia, in questo senso, la fine dell’esperienza del Tertulliano). Del resto, la Riforma concentra le risorse in poche mani e favorisce l’approccio quantitativo, di botteghino, e la circuitazione in regione invece di un’ampia distribuzione – due presupposti che rendono ancora più asfittica l’aria del teatro contemporaneo. Per parlare di questa situazione, abbiamo intervistato Federica Fracassi, attrice tra le più sensibili e complete della scena italiana, co-fondatrice di Teatro i (insieme a Renzo Martinelli) e personalità decisamente controcorrente in un panorama sempre più omologante.
Com’è cominciata l’esperienza di Teatro i?
Federica Fracassi: «Teatro i è nato come Teatro Aperto, dalla collaborazione tra me e Renzo Martinelli, iniziata negli anni Novanta. Provavamo in un auditorium di Pioltello, poi abbiamo curato la programmazione culturale del Centro Sociale Leoncavallo (di Milano, n.d.g.) e abbiamo prodotto decine di spettacoli, dialogando con la scena off nazionale e internazionale degli anni Novanta. A un certo punto abbiamo trovato uno spazio già attivo, ma in difficoltà, Teatro i, e lì abbiamo deciso di radicarci, continuando a produrre i nostri spettacoli, ma ospitando anche gli artisti che avevamo incontrato sul nostro camminino, così da renderlo un vero polo culturale».
In alcune Regioni italiane esistono Enti pubblici incaricati della distribuzione, che privilegiano soprattutto gli spettacoli commerciali. In altre, mancano, ma non sembrano emergere reti virtuose per la circuitazione dell’avanguardia. Teatro i come ha ovviato a queste problematiche?
F.F.: «È un problema aperto, direi di più: una ferita aperta. Il nuovo regolamento penalizza le piccole compagnie e, in generale, le compagnie. Non c’è un vero circuito, a nessuno interessa rappresentare il tuo lavoro, prodotto come compagnia. Si punta sui nomi cinematografici nei teatri di provincia, dove il pubblico vede la televisione e i produttori devono riempire le sale per rientrare nei parametri dei finanziamenti. Oppure sugli scambi tra Teatri Nazionali, ora incentivati a restare sul territorio il più possibile per un pubblico che si ipotizza vastissimo ma che, in realtà, non lo è. In breve, a parte Teatro i, che gira poco nonostante la stima sempre crescente nei confronti del nostro lavoro, è tutto il sistema che è stritolato da meccanismi quantitativi scissi dalla realtà e dalla qualità».
Cosa è successo nell’ultimo periodo a Teatro i? Perché avete dovuto chiudere la Stagione anticipatamente?
F.F.: «Chiudere la stagione è stata una scelta. Da anni discutiamo sulla ristrutturazione dello spazio in cui operiamo, che è del Comune di Milano, e sulla ridiscussione del contratto. Purtroppo, i tempi sono diventati biblici e le condizioni punitive. Ci sembrava stupido riempire la Stagione senza prospettive e progettualità, in una simile situazione, stritolando economicamente le compagnie ospiti per riempire i buchi. È un problema complesso, ma abbiamo messo un punto anche per farci ascoltare, non avendo santi protettori. Fortunatamente l’Assessore Del Corno è stato riconfermato alla Cultura nella giunta di Beppe (Giuseppe, n.d.g.) Sala e, quindi, potremo dialogare con qualcuno che conosce già i nostri problemi nel dettaglio. Molto rimane da fare insieme».
La chiusura anticipata della Stagione com’è stata accolta dai milanesi, dalla comunità teatrale e dalla critica?
F.F.: «Il nostro pubblico aspetta che si riapra e si rilanci. La comunità teatrale è stata molto solidale. C’è stata una campagna virale sui social – Non vogliamo resistere, vogliamo esistere. Con Teatro i, che ha occupato i canali Facebook e Instagram per due mesi. Speriamo che basti per far capire quanto è importante il messaggio culturale e l’attività di scoperta del nuovo che abbiamo lanciato».
La comunità teatrale, spesso, sembra che si lamenti genericamente della mancanza di fondi ma non dimostra di possedere quella solidarietà e compattezza, utili a cambiare le scelte politiche di fondo. Appare ancora molto divisa. È solo una mia impressione?
F.F.: «Sono assolutamente d’accordo. Uno dei mali maggiori è la mancanza di solidarietà. È un ambito povero, dove i poveri corrono a mangiare le briciole dal tavolo del Signore di turno. Siamo ciarlatani, buffoni di corte. Questo non è molto cambiato. E, spesso, aggiungo in modo forse eccessivamente pessimistico, quando parte qualche azione politica forte, finisce – con le migliori intenzioni – in mano a chi, in quel momento, come artista non lavora da tempo e, quindi, non ha la necessità e la febbre necessarie per la lotta. Forse gli artisti sono fatti per la solitudine, anche se non mi ci voglio rassegnare».
Su Artalks abbiamo intervistato, ormai nel 2014, Monica Tricario, che descriveva il progetto per il nuovo Teatro i, nel quale aveva cercato di unire la flessibilità a soluzioni che necessitassero dei minori investimenti possibili. Il progetto è rimasto sulla carta. Perché?
F.F.: «Non l’ho mai capito veramente. Credo di poter rispondere che anche per gli Assessori più illuminati è difficile accogliere un progetto esterno alla macchina istituzionale. Perfeziono il mio pensiero: è possibile se la maggior parte dei capitali è privata e il progetto si autofinanzia, ma è quasi impossibile che il Comune, pur credendo in un progetto che magari lo fa anche risparmiare, possa volare oltre alle pesantezze dei suoi meccanismi e delle sue burocrazie. Un vero peccato, soprattutto per i professionisti di Piuarch che hanno lavorato per il piacere di scommettere con noi, con arte, immaginazione e competenza oltre ogni possibile».
Simona M. Frigerio