Intervista a Monica Tricario

La quotidianità di uno tra gli studi di architettura più interessanti dell’attuale panorama europeo – amato dai committenti e premiato dalla critica – raccontato dalla componente femminile dei fondatori di Piuarch, in un’intervista che tocca i tanti interessi del pubblico di Persinsala: dall’arte al teatro passando per il design.Lo studio Piuarch, fondato a Milano nel 1996 da Francesco Fresa, German Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Tricario, in questi ultimi mesi è stato invitato a esporre progetti al Padiglione Italia della XIII Mostra Internazionale di Architettura di Venezia – dedicato, quest’anno, ad Architetture del Made in Italy; aggiudicandosi poi la Menzione d’onore della Triennale di Milano nella sezione Nuovi Edifici. La sede Bentini a Faenza e il complesso Quattro Corti a San Pietroburgo sono solo gli ultimi progetti, in ordine cronologico, a essersi conquistati copertine di importanti riviste del settore in ogni parte del globo, oltre alle lodi della critica specializzata e all’interesse del grande pubblico per la capacità di unire ricercatezza dei dettagli e pulizia formale. Avremmo potuto osare proporre un’intervista a più voci ma, alla fine, abbiamo scelto di dare un taglio più specifico, puntando sull’esponente di sesso femminile del gruppo, l’architetto Monica Tricario, sicuri di trarne una lezione preziosa di concretezza, professionalità ma, soprattutto, di passione per il proprio lavoro.

Come ci si sente, in questo momento di ricambio generazionale, a essere additati come gli esponenti di punta della nuova generazione oltre che un esempio dello stile italiano nel mondo?
Monica Tricario: Il mondo dell’architettura è effettivamente un mondo in cui si è sempre ottenuta riconoscibilità in età avanzata. Il fatto che comincino a esserci architetti riconosciuti e pubblicati alla nostra età è un buon segno e ci fa molto piacere.

Forse non vi occuperete “dal cucchiaio alla città” come suggeriva Walter Gropius per indicare il campo di pertinenza degli architetti ma, scorrendo il vostro portfolio, avete realizzato interventi alle diverse scale progettuali, dai piani, ai grandi complessi e giù sino al singolo edificio e all’interior design. Come cambia il vostro modo di approcciarvi a un nuovo lavoro? Quanto conta il contesto?
M. T.: L’approccio al lavoro è lo stesso, indipendentemente dalla scala progettuale. I nostri riferimenti sono rappresentati dai vincoli oggettivi, dal tipo di committenza, dal contesto in cui si va a progettare. Si parte sempre da un’analisi attenta del luogo in cui ci inseriamo, delle condizioni climatiche presenti, ma anche dalla cultura, dall’arte, dai materiali storicamente utilizzati per le architetture di quel particolare contesto. I nostri progetti si integrano all’esistente pur essendo riconoscibili e la cosa importante è che risultino in armonia con ciò che li circonda e non siano solo dei begli oggetti che potrebbero essere lì ma anche in qualsiasi altro posto.

Ha fondato Piuarch nel 1996 con i colleghi Francesco Fresa, Germán Fuenmayor e Gino Garbellini: come è nato questo sodalizio?
M. T.: Ci siamo conosciuti nella metà degli anni 80 nello studio di Vittorio Gregotti, dove abbiamo lavorato per 10 anni diventando amici, più che colleghi. Quando è nata l’opportunità di lavorare in modo indipendente, abbiamo unito le forze.

Qual è il segreto di uno staff soddisfatto o che, quanto meno su Archleaks, non lancia impietosi strali contro di voi, come invece avviene per tanti altri vostri colleghi che scopriamo tremendi aguzzini?
M. T.: Forse il segreto è semplicemente non essere aguzzini! Crediamo si possa lavorare costruttivamente con le persone senza basare il rapporto sulla semplice scala gerarchica.

Quali sono i suoi modelli di riferimento? Architetti passati e/o contemporanei che lei considera “maestri”?
M. T.: «I nostri riferimenti “storici” sono architetti come Mies van der Rohe, Louis Kahn, Terragni e gli esponenti del modernismo. Fra i contemporanei Sejima, Toyo Ito, Herzog&De Meuron.

Adesso vogliamo metterla in difficoltà! Nonostante tre cavalieri al suo fianco, come è stato il suo percorso nel mondo professionale in quanto donna? Al di là dei tanti luoghi comuni questo è un settore dove soffia ancora forte il vento del maschilismo: carattere, professionalità e talento bastano ad abbattere le barriere della diffidenza verso il gentil sesso?
M. T.: Credo di sì. Certamente le donne incontrano più difficoltà a causa di un retaggio sociale per cui, oltre a lavorare, devono occuparsi anche di tanto altro. In architettura in particolare, perché è un mondo principalmente maschile. Ma è un ostacolo che si può superare facendo bene il proprio lavoro.

Su artegrafica.persinsala.it ci occupiamo anche di fotografia. Premesso che vi rivolgete a professionisti di primordine, dalla lunga esperienza col mondo dell’architettura, prima di una campagna fotografica, che raccomandazioni e che tipo di richieste ponete?
M. T.: Lavoriamo da molto tempo con fotografi che conoscono bene il nostro lavoro. Prima di ogni servizio fotografico facciamo un sopralluogo insieme a loro, per discutere insieme degli elementi da evidenziare. Spesso dettagli apparentemente semplici sono il frutto di molto lavoro, e ci piace che le immagini fotografiche raccontino questa ricerca progettuale.

Un’altra tra le nostre riviste on-line, teatro,persinsala.it, segue da anni la produzione di Teatro i. Ora, nel comunicato stampa di presentazione della nuova stagione, Teatro i ha ricordato, orgoglioso, che vi state occupando del progetto per la loro nuova sede. Quali sono le sue caratteristiche salienti?
M. T.: Si tratta dell’ampliamento dell’esistente Teatro i, con la realizzazione di un foyer e una nuova sala posizionata al di sopra di quella che già c’è. Abbiamo progettato il nuovo volume, chiuso e neutro, con un rivestimento in cemento faccia vista, in contrasto con la leggera “pelle” esterna realizzata con pannelli in legno ispirati al graticcio teatrale. La corte interna all’edificio viene sgombrata per diventare una “piazza interna” aperta ai cittadini e un possibile spazio di rappresentazione all’aperto.

Sempre per quanto riguarda Teatro i, dover lavorare per una delle poche realtà che, a parere della critica, in città propone spettacoli sperimentali, innovativi e decisamente inconsueti ha richiesto un qualche accorgimento speciale, anche se solo a livello stilistico?
M. T.: Da una parte, abbiamo voluto creare uno spazio neutro in grado di offrire la massima flessibilità coerentemente con l’estro creativo del gruppo. Dall’altra parte, abbiamo cercato di ottenere un effetto di grande impatto dall’esterno utilizzando una soluzione semplice e minori investimenti possibili.

Che differenza e che fattore accomunante ci sono nel pensare a due palcoscenici come quelli di Teatro i e quello dell’ex cinema Metropol riadattato a spazio polivalente e sede per le sfilate?
M. T.: Questi spazi hanno in comune la ricerca della massima flessibilità che permetta di utilizzarli nei modi più vari. La grande differenza sta proprio nella disponibilità di mezzi economici per attrezzarli dal punto di vista tecnico.

Abbiamo ammirato le pubblicazioni relative al complesso Quattro Corti a San Pietroburgo: la cura dei dettagli (di questo come di tutti gli altri vostri interventi), la ricerca dei materiali ma, soprattutto, la naturalezza con cui avete creato un’addizione moderna in un contesto dal forte valore storico e simbolico. A noi questo sembra un grande lusso che ben pochi progettisti offrono al committente. Cosa è per lei, come architetto, il vero lusso?
M. T.: Il vero lusso è incontrare un committente “illuminato”, con cui dialogare apertamente, che sa ciò che vuole, che distingue la qualità della proposta e si riconosce in essa.

Dall’osservatorio privilegiato del vecchio edificio produttivo recuperato nel cuore di Brera – dove avete il vostro studio – ci dice cosa pensa dei tanti interventi in cantiere che, da qui all’Expo, cambieranno il volto di Milano?
M. T.: Milano che si muove per questo appuntamento è una cosa positiva, un’opportunità di sviluppo per la città. Detto questo però, con tutti i problemi noti legati all’Expo, credo che quello che si riuscirà a realizzare sarà purtroppo un po’ debole… e forse ben distante dalle premesse dalle quali si è partiti. Un difetto che riscontro in queste operazioni di sviluppo, anche relativamente ad altre aree di Milano che si stanno trasformando, è il fatto che i grandi interventi e soprattutto le regole della trasformazione siano stati affidati per lo più a grandi studi internazionali, estranei però alla storia della città. Si è dato vita a progetti che sembrano spesso calati dall’alto e che si integrano con difficoltà nel tessuto della città.

Silvana Costa

Piuarch
via Palermo, 1 – Milano
www.piuarch.it