Una saga familiare tutta al femminile che attraversa tempo, spazio e identità etniche. Il Teatro di Rifredi di Firenze ripropone il lavoro tratto dall’omonimo romanzo di Elif Şafak, la più famosa scrittrice turca contemporanea – con la riduzione e la regia di Angelo Savelli, fondatore della Compagnia Pupi e Fresedde.
Capelli azzurri cortissimi, Serra Yilmaz si presenta da sola sul palco all’apertura del sipario, ripercorrendo le tappe decisive della sua vita, quali la sua illuminazione mistica – dopo 40 giorni a pane secco e acqua recitando le scritture coraniche – e presentandosi con la sua nuova identità di chiaroveggente per sole donne, una sorta di Fata Turchina femminista in versione neo-punk.
Serra Yilmaz, sorriso misterioso e ironico insieme, divenuta icona del regista turco – suo connazionale – Ferzan Öpzetek con il film Harem Suare, qui interpreta la zia Banu, la saggia della famiglia, che parla poco e mangia molto – a dispetto del passato digiuno mistico.
Tutti i componenti della famiglia, dove compare una sola figura maschile, Mustafa Kazanci/ Riccardo Naldini, si presentano al pubblico raccontando se stessi, uno dopo l’altro, in monologhi in terza persona, forse con il desiderio di mettersi al riparo dal personaggio da loro interpretato – seppur rappresentandolo in tempo reale sulla scena, ne prendendo in qualche misura le distanze.
Una famiglia senz’altro sopra le righe – quella dei Kazanci – ossia tutta al femminile: nonne, zie, mamme e nipoti, personaggi differenti per età e temperamento, ma uniti – si comprenderà a fine performance – nella difesa della dignità familiare, intrisa di segreti dei quali solo alcune probabilmente conoscono l’esistenza (o la verità), ma istintivamente condivisi da tutte. Un insieme talvolta sfrontato sebbene tradizionale nei valori morali, immerso magicamente nelle scenografie virtuali di Giuseppe Ragazzini, che ricrea un’atmosfera densa e colorata di damaschi mediorientali.
Gli attori – tutti bravissimi – danno interpretazioni convincenti, comprese le due giovanissime Diletta Oculisti/Asya e Elisa Vitiello/Armanoush (modelli inconsapevoli di un mondo semi-globalizzato, nonostante le loro differenti origini etniche e il vissuto reale).
La parte maschile della famiglia Kazanci, rappresentata sul palco dal solo figlio maschio di Gulsum/Marcella Ermini, è avvolta nel mistero, dato che da più generazioni è colpita da precoci scomparse, i cui motivi permeano di dubbi lo spettatore fin dall’inizio dell’intreccio scenico, rimandandolo – come in un thriller – alle battute finali per lo scioglimento dell’enigma.
La bastarda di Istanbul è un lavoro che racchiude la spinosa questione del genocidio degli Armeni del 1915 – per mano degli ottomani e dell’Imperatore tedesco, Guglielmo II – di cui la Turchia non vuole assumersi la responsabilità (nonostante il secolo di distanza dai fatti), processando, per attacco all’identità turca, l’autrice del testo, Elif Şafak, che ha coraggiosamente ha affrontato la spinosa questione nel suo romanzo.
Istanbul, l’affascinante Costantinopoli dalle molte leggende e meraviglie, linea di confine tra oriente e occidente, città dalle mille contraddizioni che desidera assomigliare alle metropoli occidentali ma soccombe alla mentalità rivolta alla tradizione. Istanbul luogo di sogni esotici per gli occidentali e porta verso l’occidente per chi arriva dall’est. Niente migrazioni, qui, non sono contemplate, le persone possono liberamente circolare e inseguire i propri destini. E a sostegno del principio di libertà di movimento, oriente e occidente si incontrano nel matrimonio tra Mustafa, espatriato negli Stati Uniti, e l’astuta, finta-svampita, conservatrice, sudista statunitense – sicuramente infelice – Rose, nella magistrale interpretazione di Monica Bauco. L’esilarante lettura parodistica del personaggio, che mette in evidenza le lacune culturali e i pregiudizi del popolo Us, velatamente arrogante e che si crede superiore al resto del mondo, è resa alla perfezione. Inoltre, Monica Bauco interpreta altrettanto bene il ruolo di Feride, donna affetta da bipolarismo e disturbi nervosi – personaggio esilarante e inaspettato.
Dalle idiosincrasie umane non sembrano essere affette, al contrario, le due giovani, Asya e Armanoush, che tra di loro comunicano senza pregiudizi e non recano con sé intime cicatrici che possano influenzare il presente. Due ragazze legate da un linguaggio universale, molto caro alla loro generazione: la musica, veicolo universale di vibrazioni spirituali. A completare il quadro, Zeliha/Valentina Chico, la contestatrice e disonore della famiglia, con i suoi atteggiamenti libertini, minigonne mozzafiato e linguaggio volgare – o non adatto a una onorabile donna turca – che mette in discussione l’asfissiante mentalità mediorientale – e non solo – mentre rivendica la libera espressione di se stessi, in primis quella delle donne.
Un lavoro di riduzione del testo ben riuscita, che conserva tematiche valide a diverse latitudini, del passato e del presente, dato il vortice ancora in atto di pregiudizi e violenze contro le donne, spesso autoinflitte dalle stesse donne, rinchiuse nel loro prezioso onore, ossia in uno schema di controllo di tradizione patriarcale. Ma le donne della famiglia Kazanci hanno individuato un modo originale per eludere questo controllo: allo spettatore il piacere di scoprirne i segreti e la ricerca delle possibili verità.
Laura Sestini
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro di Rifredi
via Vittorio Emanuele, 303 – Firenze
venerdì 16 novembre, ore 21.00
www.teatrodirifredi.itPupi e Fresedde / Teatro di Rifredi presentano:
La bastarda di Istanbul
dall’omonimo romanzo di Elif Şafak
riduzione e regia Angelo Savelli
con Serra Yilmaz, Valentina Chico, Riccardo Naldini, Monica Bauco, Marcella Ermini, Fiorella Sciarretta, Diletta Oculisti, Elisa Vitiello
video-scenografie Giuseppe Ragazzini
costumi Serena Sarti
luci Alfredo Piras
elementi scenici Tuttascena