La natura morta nella pittura italiana del XX secolo raccontata attraverso le opere di Renato Guttuso.
Nella prima metà di settembre, nel giro di una manciata di giorni, sono state inaugurate due mostre monografiche dedicate a Renato Guttuso, ciascuna intenzionata ad indagare specifici aspetti della sua ampia produzione pittorica. Alla Galleria di Alessandro VII, presso il Palazzo del Quirinale di Roma, sino al 9 ottobre, è possibile ammirare Guttuso. Inquietudine di un realismo mentre alle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia è allestita Guttuso. La forza delle cose, una rassegna di nature morte che esplora tutte le varianti stilistiche adottate dal Maestro.
Se evochiamo la Crocifissione (1942) o La Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio (1951-52), due tra le grandi opere di Guttuso consegnate alla storia, pensiamo al soggetto, alla questione dell’impegno politico o all’iconografia inconsueta rispetto ai canoni classici e non certamente ai piccoli sipari con nature morte ricavati al loro interno. Eppure, memore di Manet nella Colazione sull’erba (1862-63), Guttuso adotta lo stratagemma di accostare una scena dalla forte carica di rottura stilistica ad un piccolo, prezioso, esempio di natura morta – il tavolo con gli strumenti della tortura nel primo caso e una cesta di arance rovesciate nel secondo – che dimostri al pubblico la sua perizia artistica e la sua conoscenza dei canoni della rappresentazione classica. Per lui la natura morta non è un genere inferiore alle rappresentazioni storiche quando un modo altro per raccontare storie, emozioni e colori.
Fabio Carapezza Guttuso e Susanna Zatti, curatori della mostra pavese, hanno scelto di proporre una riflessione sui ritratti degli oggetti inanimati che popolano gli studi del pittore di origini siciliane. Essi spiegano, con dovizia di documenti, come nascano le nature morte di Guttuso, di come gli oggetti – nello studio prima e sulla tela poi – si uniscano ad altri oggetti, creando una sedimentazione continua di presenze investite di situazioni sentimentali. Alcuni oggetti sono regali portati da amici come, per esempio, il cranio di ariete utilizzato dal Partito Comunista Clandestino quale simbolo della guerra di Spagna: esso compare per la prima volta nelle tele realizzate nel 1938, periodo in cui il regime fascista vieta di dibattere di certe vicende. Il cranio resta tra gli oggetti presenti nello studio di Guttuso anche al termine della Seconda Guerra Mondiale, caricandosi di altri significati e dando vita a nuove suggestioni. Gli oggetti sembrano proporsi da soli al Maestro, al momento propizio, per essere dipinti da lui, come narra egli stesso nel filmato d’epoca tratto dalle Teche RAI, portando come esempio la genesi di Peperoni (1974).
La mostra, sebbene limitata al solo genere della natura morta, propone un interessante excursus sulla pittura italiana del XX secolo, rispecchiandone sviluppi, influenze e cambiamenti. Emerge chiaramente il ritratto di un artista che è “anche” critico d’arte e, in quanto tale, non si chiude nell’autoreferenzialità ma si apre e sperimenta nuovi modi di rappresentare la realtà. I dipinti degli anni Quaranta, per esempio, indagano la strana prospettiva dei cubisti; nel 1965 si ispira alle opere di Giorgio Morandi; nel dopoguerra studia le avanguardie americane ma senza farsi travolgere come accade invece a Emilio Vedova per tornare infine a privilegiare il realismo, convinto che la nuova arte italiana debba raccontare i fatti con uno stile leggibile, in grado di parlare a tutti. Quando osserviamo Barattoli e tubetti di colore (1986) possiamo notare, nella scelta del soggetto, un’assonanza tra la rassegna di recipienti allineati sul tavolo da lavoro e le composizioni morandiane. Se passiamo a valutarne lo stile, ci rendiamo conto di come i toni raffinati – ed un filo polverosi – del vasellame immortalato dal pittore bolognese siano sostituiti, sulla tela di Guttuso, da tinte forti e squillanti, da colori stesi con pennellate generose che conferiscono alla rappresentazione plasticità e una sorprendente carica vitale.
L’evento offre ai curatori l’occasione di raccontare anche la vita di Guttuso: ampi pannelli in bianco e nero, collocati lungo il percorso, sulla parete opposta a quella dove sono disposti i dipinti, ricordano, attraverso fotografie in bianco e nero, le relazioni intessute con artisti ed intellettuali nel corso di una lunga carriera. Ricordiamo tra i tanti: Birolli, Pasolini, Montale, De Filippo, Moravia, Vittorini ma anche Picasso, Dalla e Fellini. Gli scatti sono anche l’occasione per visitare virtualmente i diversi studi dove l’artista dipinge e – a volte – vive: dalla soffitta della casa del padre sino agli spazi in piazza Melozzo da Forlì, Monte Mario, Villa Massimo e Palazzo del Grillo. Sono sedi di creazione artistica ma anche luoghi di incontro, di dibattiti polemici ed affettuosi come quelli con Giulio Turcato ed Emilio Vedova. Di trasloco in trasloco le masserizie aumentano, agli strumenti per dipingere si aggiungono una coperta, qualche sedia impagliata, un fornelletto e la bottiglia per il vino: le stesse povere cose che troviamo per esempio in Natura morta con fornello elettrico (1961) o in Natura morta con drappo rosso (1942), messa sapientemente a confronto con uno scatto dello studio al Palazzo del Grillo.
L’esposizione è decisamente ricca: le cinquanta opere selezionate consentono ai visitatori di farsi un’idea precisa della perizia pittorica di Renato Guttuso. Noi però siamo usciti insoddisfatti. Premettiamo che ogni mostra è figlia del proprio curatore, del suo punto di vista, della sua interpretazione dell’autore. Fabio Carapezza Guttuso e Susanna Zatti durante la presentazione dell’evento alla stampa hanno dichiarato chiaramente di essersi concentrati solamente sulla figura di Regato Guttuso artista. Tuttavia, con i grandi collage di foto, essi finiscono per presentare anche Guttuso figlio del proprio tempo, limitandosi però ai meri aspetti mondano-culturali, senza ricordare l’impegno politico di un pittore che sceglie il linguaggio del realismo per essere compreso dal popolo, di un artista che nel 1953 rinfresca la grafica di falce e martello utilizzati come simbolo dal Partito Comunista Italiano. Indubbiamente non tutte le opere sono segnate da riferimenti politici; Guttuso ha dipinto Peperoni (1974) solamente perché li ha visti in vetrina, gli sono piaciuti, se li è fatti incartare per portarli a casa e farne un quadro, senza celarvi messaggi reconditi. Eppure l’artista fece scelte ideologiche precise, rivendicandole con orgoglio e, così come non sarebbe giusto strumentalizzarle, riteniamo sia corretto ricordarle, sia per completezza di informazione sia per spiegare al pubblico più giovane in che contesto siano nati i dipinti che sta osservando.
Silvana Costa
La mostra continua:
Scuderie del Castello Visconteo
viale XI febbraio 35 – Pavia
fino a domenica 18 dicembre 2017
orari: dal lunedì al venerdì 10.00 -13.00 / 14.00 -19.00
sabato, domenica e festivi 10.00 – 20.00
la biglietteria chiude un’ora prima
www.scuderiepavia.com
www.vivipavia.it
Guttuso. La forza delle cose
a cura di Fabio Carapezza Guttuso, Susanna Zatti
un progetto ViDi, Archivi Guttuso
in collaborazione con Comune di Pavia, Associazione Pavia Città Internazionale dei Saperi, Lions Clubs International Distretto 108 Ib3 Italy, Lions Club Casteggio Oltrepò
con il patrocinio di MiBACT – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismoCatalogo:
Guttuso. La forza delle cose
saggi di Susanna Zatti, Fabio Carapezza Guttuso, Antonello Negri
schede delle opere a cura di Valentina Raimondo
biografia illustrata dell’artista a cura degli Archivi Guttuso
Skira Editore, 2016
160 pagine, 100 illustrazioni a colori, 24×28 cm, brossura
prezzo 35,00 Euro
www.skira.netProssima tappa:
Villa Zito
via Libertà, 52 – Palermo
22 dicembre 2016 – 26 marzo 2017
orari: martedì – giovedì 10 – 17
venerdì, sabato, domenica e festivi 10 – 19
aperture straordinarie 26 dicembre e 2 gennaio
chiuso lunedì, 25 dicembre e 1 gennaio
la biglietteria chiude mezzora prima
www.villazito.it