Come nel celebre romanzo di Calvino, realtà e fantasia, ricordi e aneddoti intervengono nell’edificare il nostro immaginario collettivo: Bangkok non ne è esente. Tra l’imponenza dei suoi templi e la bolgia infernale di Khao San: proviamo a ritagliarci un pezzetto di paradiso contemporaneo.
Quando le guide raccontano Bangkok ai turisti occidentali si soffermano principalmente su tre luoghi, ciascuno simbolo di un modo alternativo di vedere sia la città, in particolare, sia l’Oriente, in generale: i centri commerciali ultramoderni di Siam Square (o, in alternativa, per gli amanti dei mercatini, Chatuchak); la movida alcolica e a ritmo house di Khao San Road; e il triangolo d’oro della cultura composto dai complessi templari di Wat Phra Kaew, Wat Pho e (sulla riva opposta del fiume) Wat Arun. A seconda della scelta fatta, Bangkok rimarrà nella mente come una Tokyo meno cara (o l’ombra di una Macao filmica); una capitale del divertimento che non dorme mai (quando, al di là delle poche strade turistiche, i negozi chiudono tra le 16 e le 18 e i ristoranti non cucinano dopo le 21.30); e la dimora di alcuni tra i templi buddhisti più opulenti e “barocchi” d’Oriente.
Eppure, a ben guardare, Bangkok corre più veloce delle acque del suo grigio fiume inquinato – solcato da vecchi rimorchiatori fumosi – e sta rinascendo completamente nuova e dotata di una personalità autonoma.
Nella zona del mercato dei fiori (il flower market), ad esempio, si sta attrezzando un’intera banchina con piccoli negozi di classe e bar che si affacciano, lindi e moderni, sulle acque. Al contrario di quanto ipotizzato – come positivo – da molti miopi economisti occidentali – ossia che il futuro dell’Europa sia la fine del welfare state (che deprimerebbe la competitività del singolo) e una nuova era di piccola imprenditoria fai da te, di commercio pseudo di strada – la Thailandia, in questi ultimi 20 anni, ha puntato su una maggiore redistribuzione della ricchezza che ha permesso non solamente il fiorire di scuole e università e l’affermarsi di un sistema sanitario pubblico efficiente, ma anche il progressivo spostamento delle persone dal commercio di strada (che piace tanto al turista in vena di emozioni) a quello in strutture pulite e dotate di elettricità e acqua corrente, e alla riqualificazione degli attracchi e delle banchine sui canali di Bangkok che, da immondezzai, si stanno lentamente ma finalmente trasformando in altro: luoghi d’incontro piacevoli, pier efficienti per usare il fiume come veicolo privilegiato tra quartieri. In una città dove il traffico è disumano e l’aria sempre più irrespirabile (mentre la nuova pista ciclabile del centro è intasata dai motorini), vedere l’affermarsi della metropolitana, della sopraelevata e dei battelli come mezzi alternativi al trasporto privato fa davvero ben sperare.
Così come, allontanandoci con passo pesante dalla Bangkok un po’ soffocata dalla sua storia (perché se i templi summenzionati sono magnifici, le centinaia di altre riproduzioni che ormai affollano la vita del turista caduto nelle grinfie dell’autista di tuk tuk sono insopportabili), possiamo scoprire un’altra città, aperta al futuro, al Ratchadamnoen Contemporary Art Center (RCAC), nei pressi del Monumento della Democrazia. Qui (fino al 6 febbraio), è allestita una mostra di arte contemporanea, 71 years – Kamol Tassananchalee & Friends che accoglie una serie di opere del celebre artista e di alcuni suoi compagni di strada – sia affermati, sia giovani di talento. In una struttura di 4 piani di impronta decisamente industriale, dotata di grande pulizia di forme e con una luce ottimamente calibrata per evidenziarne la linearità, le geometrie di Kamol sono esaltate e messe in contatto diretto con quelle degli altri artisti, con le quali dialogano – su di un piano paritario – così come, e forse soprattutto, con l’arte occidentale. Sebbene, infatti, temi ed esigenze di fondo (espressi spesso nei titoli delle opere) rimangano quelli di una cultura orientale votata alla gentilezza, all’armonia, al tutto e a un flusso continuo di energia, le tecniche delle opere sono di matrice prevalentemente occidentale. Nei quadri esposti si ritrovano – solo per fare due semplici esempi – i colori acrilici e il non figurativo, reinterpretati perfettamente; nelle sculture firmate da Kamol, il calligrafismo orientale si coniuga felicemente con le luci al neon in stile Mario Merz o Lucio Fontana e lo srotolarsi del tempo infinito può esprimersi in figurazioni iperrealistiche.
Fuori dall’RCAC, maestri e allievi trascorrono il pomeriggio mostrando i lavori che si elaborano dal vivo a turisti e thailandesi che stanno scoprendo questa nuova Bangkok – giovane, creativa, inaspettata e decisamente vitale.
Testo di Simona M. Frigerio
Fotografie di Luciano Uggè
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