A Volterra va in scena l’in progress di Armando Punzo ispirato a Borges. Ma il cortocircuito tra realtà del carcere e surrealismo della messinscena non scatta.
Quello visto alla Fortezza il 27 luglio è molto più di un semplice studio. Come è avvenuto anche per il precedente Dopo la tempesta. L’opera segreta di Shakespeare, ci si trova di fronte a uno spettacolo che potrebbe dirsi già finito, completo di costumi, scenografie, musiche e una forte commistione tra testo recitato e immagini/simboli evocati, e impersonati, dai molti detenuti/attori presenti in scena.
Le parole lievi ha, innanzi tutto, il pregio dell’introduzione delle percussioni live di Quartiere Tamburi, in grado di sollecitare emotivamente il pubblico sottolineando con incisività il susseguirsi dei quadri, assurgendo persino ad autentiche protagoniste in più occasioni.
Su questo parterre sonoro, Punzo intesse monologhi più o meno brevi, recitati da lui stesso, da due attrici e da una serie di detenuti/attori. Ai quali aggiunge una miriade di simboli sia a livello scenografico che costumistico, che dovrebbero rimandare alla labilità di ciò che intendiamo come reale. Da quelli massonici (il muratore, la piramide, la sfera e il cubo) ai volti coperti, nella parte superiore, da uno strato di rosso (à la Dali); dall’uomo in grigio con cappello e valigia, che rimanda agli omini di Topor, ai visi celati da panni, decisamente magrittiani; da Diogene di Sinopo, in cerca dell’uomo, ai danzatori/guerrieri che sostengono canne lunghe forse dieci metri e che corrono ricostruendo il simbolo dell’infinito.
Una profusione di segni, quindi, che possono essere letti sia come giochi intellettuali, o più profondamente come cangianti rimandi alla molteplicità irreale delle apparenze; ma che, nella sovrabbandonza, perdono di intensità significante e rischiano di trasformarsi in altrettante distrazioni. Il rimando all’iconografia surrealista, pur presente, non riesce a tingersi delle pennellate cangianti dei suoi pittori, né a inserirsi nell’universo demistificante di un Buñuel. Le mura del carcere non collidono contro lo spettro atomistico della nostra fallace concezione della matericità dell’esistente.
Anche per quanto riguarda la scelta dei testi, non si ritrova la pungente visione della vita, menzognera e deformata, propria di Borges; né quell’ironia disincantata e il gioco del non-sense che rendono corrosivo anche l’aforisma più asciutto; né il realismo magico che impregnerà le opere di decine di autori latinoamericani.
Il ritmo complessivo dello spettacolo rimane uniformemente piuttosto lento, se si escludono i momenti in cui le percussioni prendono felicemente il sopravvento. Questa scelta, come le continue sfilate dei personaggi abbastanza fini a se stesse, non riescono a restituire il tempo hic et nunc quale percezione illusoria – dilatata proprio dalla ripetizione del gesto e del movimento nello spazio, dalla fissità dei tableaux vivants che si cristallizzano di fronte ai nostri occhi (un detenuto/attore resta sdraiato nell’acqua, con le braccia stese e leggermente rialzate da terra, per una quarantina di minuti), dalla reiterazioni di alcuni concetti quali l’impossibilità di comprendere cosa sia il reale, o la differenza tra la parola scritta e l’oralità (il quadro della biblioteca, a inizio spettacolo, rimanda al medesimo concetto). Tutte le scelte stilistiche, di per sé pregevoli, non riescono mai a scalfire la superficie e, amalgamandosi, a rendere il portato fortemente critico e psicologicamente destabilizzante dei surrealisti. Così come la giustapposizione di ritmi discordanti, o il montaggio veloce delle immagini, antinarrativo e fortemente onirico, sembrano non lambire mai il cortile della Fortezza.
Armando Punzo interpreta il doppio ruolo del cercatore (già rivestito nell’ultimo Shakespeare, dove era altresì Prospero e se stesso) e del regista, fidando nell’effetto straniante della metateatralità. Purtroppo, essendo noi in un carcere, questo gioco di istruzioni e ordini ai detenuti/attori sembra rimandare più alla condizione di dipendenza degli stessi dalle guardie e, quindi, alla loro condizione di reclusione, che non a un effettivo abbattimento della quarta parete che si era avuto, ad esempio, con il capolavoro Santo Genet commediante e martire. Laddove, era oltretutto chiaro che lo spettatore diventava protagonista con l’assoluta libertà di poter fruire dei quadri, dei monologhi, dei pezzi di bravura che si dispiegavano contemporaneamente nelle varie stanze in cui si svolgeva la pièce. In questo caso, al contrario, un pubblico in parte seduto a terra, in parte appoggiato alla gabbia, sollecitato ad avvicinarsi e poi allontanato a comando, mai interagente, mai veramente libero di sperimentare anche solo la leggerezza delle sfere, è in realtà incuriosito ma emotivamente distaccato come può esserlo quello di una sfilata di moda.
Armando Punzo nella sua Fortezza, come Giovanni Drogo alla Bastiani, sembra in attesa di un qualcosa che pare sfuggirgli. Forse avrebbe finalmente bisogno di uscirne e intraprendere una nuova avventura – qui, nel deserto dei tartari.
Simona M. Frigerio
Le parole lievi
Cerco il volto che avevo prima che il mondo fosse creato
preludio del nuovo lavoro della Compagnia della Fortezza
ispirato all’opera di Jorge Luis Borges
drammaturgia e regia Armando Punzo
musiche originali e sound design Andrea Salvadori
scene Alessandro Marzetti e Armando Punzo
costumi Emanuela Dall’Aglio
movimenti Pascale Piscina
aiuto regia Laura Cleri
assistente alla regia Alice Toccacieli
aiuto scenografo Yuri Punzo
collaborazione drammaturgica Giacomo Trinci, Lidia Riviello, Alice Toccacieli, Francesca Tisano, Salvatore Altieri, Fabio Valentino e Gaspare Mejri
organizzazione generale Cinzia de Felice
coordinamento Domenico Netti
amministrazione Isabella Brogi
cura Rossella Menna
collaborazione amministrativa Giulia Bigazzi
formazione Marzia Lulleri
direzione tecnica Carlo Gattai
light designer Andrea Berselli
suono Alessio Lombardi
video Lavinia Baroni
foto di scena Stefano Vaja
in collaborazione con VaiOltre!
con Armando Punzo e gli attori della Compagnia della Fortezza Elidrissi Kamal Abdrrak, Wilifred Paull Herbert Aka, Salvatore Altieri, Sebastiano Amodei, Giuseppe Arena, Antonio Arienzo, Mohammad Arshad, Andrej Ayala, Said Bahy, Saverio Barbera, Nikolin Bishkashi, Pellumb Brhama, Paolo Brucci, Mario Cabras, Rosario Campana, Vincenzo Carandente Giarrusso, Maxwell Caratti, Diego Carvalhais, Roberto Cecchetti, Giuliano Costantini, Ismet Cuka, Pierluigi Cutaia, Elis Dedei, Luigi Di Giovanni, Lucio Di Roberto, Domenico Donato, Nicola Esposito, Vitale Esposito, Vincenzo Fagone, Faquan Fan, Giuseppe Galiano, Abbas Ghulam, Salvatore Giordano, Nunzio Guarino, Massimo Interlici, Ibrahima Kandji, Naser Kermeni, Kujtim Kodra, Carmelo Dino Lentinello, Hai Zhen Lin, Domenico Maggio, Angelo Maresca, Massimo Marigliano, Benedetto Marino, Paolo Marino, Giovanni Mazzola, Malaj Mbaresim, Gaspare Mejri, Ciro Oliva, Tarek Omezzine, Marian Petru, Ciprian Putanu, Hamadi Rezeg, Tip Sai Saiw, Mario Serban, Vitale Skripeliov, Vincenzo Sorio, Simone Tarantino, Lucian Tarara, Massimo Torre, Emanuele Valenti, Fabio Valentino, Alessandro Ventriglia, William Villanova, Sinan Wang, Tony Waychey e Carlo Zingarello
percussioni live Quartiere Tamburi / Marzio Del Testa, Iago Bruchi, Riccardo Chiti, Lucio Passeroni e Andrea Taddeus Punzo de Felice
e con i giovanissimi Yana Zoe Giuffrida, Marco Piras e Tommaso Vaja
collaborazione artistica Elisa Betti, Eva Cherici, Gillo Conti Bernini, Adriana Follieri, Margherita Freidhof, Giulia Guastalegname, Daniela Mangiacavallo, Pier Nello Manoni, Marco Mario Gino Eugenio Marzi, Francesco Nappi, Marta Panciera, Eva Pistocchi, Luisa Raimondi, Eleonora Risso, Francesca Tisano e Carolina Truzzi
assistenti stagisti Silvia Augusti, Claudia Calcagnile, Lorena Çoka, Luca Dal Pozzo, Francesca Lateana, Manuel Marrese, Alessandra Pirisi e Gianluca Russo
produzione Carte Blanche – Centro Nazionale Teatro e Carcere
con il sostegno di MiBACT-Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Regione Toscana – Comune di Volterra – Comune di Pomarance – Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra – Ministero della Giustizia C.R. Volterra