Le vie dell’anima

In mostra a Monza il meglio di quarant’anni di reportage di Nomachi – il grande fotografo giapponese – che esplora il rapporto tra i popoli e le religioni, indugiando sulla spettacolarità di riti collettivi e pellegrinaggi.

Erano gli anni Settanta quando il giovane ed emozionato Kazuyoshi Nomachi giunge a Milano per curare per Mondadori la stampa del suo primo volume di fotografie. Sahara, poi pubblicato in cinque lingue e distribuito in molti Paesi, garantisce in breve tempo al boy photogapher – come all’epoca è chiamato sbrigativamente Nomachi – una fama mondiale. Divenuto uno dei fotografi giapponesi più conosciuti del pianeta, soprattutto grazie agli emozionanti servizi pubblicati da National Geographic, Nomachi ha presenziato all’inaugurazione di Le vie dell’anima, la mostra allestita al Serrone della Villa Reale di Monza in cui sono esposti gli scatti realizzati nel corso della sua strepitosa carriera.
Nel Serrone, privato da Peter Bottazzi delle sovrastrutture realizzate per gli eventi precedenti e restituito alla sua luminosa dimensione originaria, compiamo una sorta di ideale pellegrinaggio, entrando in grande intimità con i protagonisti delle fotografie. Le stampe di grande formato ci colpiscono per l’alto valore estetico: la grande ricchezza di colori, la qualità della luce e la capacità di catturare immagini talmente ricche di dettagli da raccontarci, ogni volta, una storia meravigliosa e senza tempo.  Tappa dopo tappa attraversiamo l’intero globo, soffermandoci nelle zone più impervie del pianeta per assistere a emozionanti riti collettivi, dai pellegrinaggi compiuti sotto la neve in Tibet o sulle Ande agli uomini in preghiera bruciati dal sole cocente di La Mecca o del Sahara e, al termine del percorso, incontriamo lui.
La cosa che colpisce di più parlando con Nomachi è la coerenza della sua ricerca. Ci racconta della meticolosità con cui prepara ogni viaggio perché il mondo va osservato con consapevolezza, senza avere mai la supponenza di giudicarlo, avvicinandosi con rispetto ed umiltà a ogni nuova esperienza. Non è un approccio semplice, soprattutto per uno che, come lui, all’età – per certi versi acerba – di venticinque anni, sceglie di dedicarsi a un progetto ben definito, seppur sconfinato: la religione. Nomachi porta avanti la sua esplorazione con dedizione, riuscendo a introdursi nella sfera di intimità dei suoi soggetti, stabilendo un legame di affetto e fiducia che traspare dalla naturalezza con cui le persone eseguono i propri gesti rituali, noncuranti della sua macchina fotografica. Per Nomachi è importante realizzare reportage approfonditi e profondi, in cui si riconosca la traccia dello suo sguardo e, quando l’immagine commuove l’osservatore, egli sorride compiaciuto perché il suo messaggio è giunto a destinazione. Come non emozionarsi davanti al rituale del bagno sacro nel Gange, con i contorni delle persone che si perdono nella nebbia mattutina (Allahabad, India, 2007), o non trasalire davanti ai costumi variopinti ed alle maschere grottesche  indossate dai pellegrini peruviani chiamati Ukuku – orsi – per arrampicarsi sulle Ande, fino a una croce eretta su un ghiacciaio a un’altitudine di 5.000 metri (Coyllur Ritti, Perù, 2004) o, ancora, non impressionarsi alla vista di migliaia di fedeli in preghiera a La Mecca, ritratti mentre compiono i giri rituali attorno alla Kaaba (La Mecca, Arabia Saudita, 1995).
Tuttavia sono i paesaggi africani, sterminati ed incontaminati, a farci sobbalzare l’animo e il cuore, sia che si tratti del deserto dove vaga una nomade in cerca di sterco di dromedario da usare come combustibile (Igli, Algeria,1978) o l’oasi avvolta in una nuvola di polvere (Kerzaz, Algeria 1973) o i boschi di senecio gigante, a 4.700 metri di quota, vicino alle sorgenti del Nilo (Catena de Ruwenzori, Uganda,1981). Senza retorica, egli afferma che la globalizzazione ha la deprecabile conseguenza di aver appiattito il globo, rendendo oggi impossibile poter replicare gli scatti realizzati quando, poco più che ventenne, inizia a esplorare il mondo con la macchina fotografica al collo; ci parla anche della progressiva desertificazione mentre noi restiamo sorpresi dalla fioritura rigogliosa – e quasi miracolosa – di una rosa del deserto (Kordofan Meridionale, Sudan, 1980). In questo sterminato territorio, tra uomini dal volto cosparso di cenere per tenere lontani gli insetti (Jonglei, Sudan del Sud, 1981) e greggi al pascolo, convivono antichi riti animisti con il cristianesimo e la religione musulmana.
Anche Kazuyoshi Nomachi è musulmano ma, osservando le immagini in mostra, traspare un grande rispetto prestato nell’accostarsi anche alle altre forme di religione perché ciascuna, come egli suggerisce, altro non è che un differente percorso per raggiungere la cima della stessa montagna.

Silvana Costa

La mostra continua alla:
Reggia di Monza – Serrone della Villa Reale
viale Brianza, 2 – Monza
fino a domenica 8 novembre 2015
orari martedì – domenica 10-19; venerdì 10- 22
lunedì chiuso
la biglietteria chiude un’ora prima
www.reggiadimonza.it
 
Nomachi
Le vie dell’anima
fotografie di Kazuyoshi Nomachi
coordinamento Alberto Rossetti
con Gaia Morelli
progetto scenografico Peter Bottazzi
progetto illuminotecnico Giambattista Buongiorno – Volume
progetto grafico Laura Salomone
promossa dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza
organizzata e prodotta da Civita Cultura
in collaborazione con Creviis e Fondazione Italia-Giappone
con il sostegno di Canon
www.mostranomachi.eu
www.nomachi.com

Catalogo:
Kazuyoshi Nomachi. Le vie del sacro
National Geographic Italia, 2014
160 pagine, colori
prezzo in mostra 10,00 Euro