I dipinti del Maestro dell’Impressionismo celebrano le meraviglie della Ville, ormai divenuta Lumière grazie ai progressi tecnologici.
A Palazzo Reale di Milano tornano in scena gli Impressionisti ma questa non è l’ennesima mostra che esalta la pittura all’aria aperta e il fascino della campagna francese. Il titolo, Manet e la Parigi moderna, è ampiamente rivelatore dell’impostazione scelta dal curatore Guy Cogeval – Presidente del Musée d’Orsay e dell’Orangerie di Parigi da cui provengono in prestito le opere esposte – con le colleghe Caroline Mathieu e Isolde Pludermacher.
Alla metà del XIX secolo, su volere dell’Imperatore Napoleone III e su progetto coordinato dal Barone Haussmann, nell’arco di poco meno di un ventennio (1852-1869), il volto di Parigi viene completamente rivoluzionato. Larghi viali sventrano il tessuto medievale della città cancellando i ghetti descritti ne I miserabili, autentici focolai di epidemie e malessere sociale. Al loro posto sorgono rapidamente imponenti palazzi destinati a celebrare il potere della neonata classe borghese. Charles Baudelaire riserva un’intera sezione de I fiori del male (1857) alle trasformazioni in corso nella capitale e ne Il cigno – non a caso dedicata a Victor Hugo – scrive “La vecchia Parigi non c’è più (il volto di una città/muta più in fretta di un cuore mortale)”. I lunghi assi prospettici, la luce naturale che invade i viali e fa splendere i colori, lo struscio della borghesia lungo la Senna piuttosto che in boulevard punteggiati da caffè e negozi, diventano in breve tempo il soggetto prediletto dei pittori che allo studio preferiscono lavorare en plein air: tra costoro si conta anche Édouard Manet. Manet, figlio dell’alta borghesia, educato all’arte nei musei dove fa propria la lezione dei grandi Maestri, accantona ben presto i dettami della pittura accademica per la ricerca di nuovi linguaggi espressivi. Annoverato tra i padri del movimento impressionista, Manet alla bellezza ideale preferisce la bellezza dell’attimo e con veloci pennellate si prodiga di restituire la frenesia della vivace vita mondana e culturale della capitale francese. Parigi, allora ritenuta la città moderna per antonomasia, è in realtà la vera protagonista della mostra, ritratta dalle mani esperte di Manet e degli artisti a lui contemporanei, amici-rivali, offrendo una straordinaria pluralità di visioni di tale momento storico: Cézanne, Degas, Monet, Berthe Morisot, Boldini, Renoir, Signac e Gauguin, presente con La Senna al ponte Iéna. Tempo nevoso (1875), un’opera sorprendente perché così lontana dalla produzione che lo ha consegnato alla storia dell’arte.
Manet e la Parigi moderna mostra al pubblico un centinaio di opere: ai 54 dipinti – di cui 16 realizzati da Manet – si affiancano disegni, acquerelli, sculture e plastici che offrono uno straordinario osservatorio sul processo di rinnovamento che, partendo dall’urbanistica ha contagiato tutte le discipline artistiche. Sono ben dieci le sezioni tra cui si snoda il percorso di visita: Manet e la sua cerchia; Parigi, città moderna; Sulle rive; Natura inanimata; “L’heure espagnole” (Maurice Ravel); Il volto nascosto di Parigi; L’Opéra; Parigi in festa; L’universo femminile. In bianco… ; …e nero. La passante e il suo mistero.
Visitando la sala introduttiva, Manet e la sua cerchia, il visitatore si ritrova trasportato nel salotto dove il pittore trascorre ore a dibattere con amici, critici e colleghi. Fanno qui bella mostra di sé il ritratto di Manet (eseguito da Carolus-Duran, 1880 circa), della sua modella prediletta (Berthe Morisot con il ventaglio, 1874), del poeta Stéphane Mallarmé (1876) e l’omaggio a Émile Zola (1868), il giornalista che sostiene e difende in punta di penna quel rivoluzionario modo di fare pittura. Zola è ritratto alla guisa di un letterato rinascimentale, seduto al tavolo da lavoro circondato dagli amati libri; sullo sfondo un paravento giapponese e, appese al muro, un’incisione ispirata a Velasquez e una riproduzione de l’Olympia che sembra guardarlo con riconoscenza.
Avanzando di sezione in sezione restiamo affascinati dalle nature morte e dalle marine, dall’opulenza delle serate all’Opéra al fumo dei caffè, giù fino alle strade più povere della capitale. Il tema della donna è affrontato dai curatori con ampio respiro, offrendoci deliziose istantanee di vita domestica ne L’universo femminile. In bianco… mentre nella sezione …e nero. La passante e il suo mistero si celebra il fascino delle signore che, adornate con vezzosi cappellini, percorrono gli ampi boulevard. Protagonisti assoluti di Parigi, città moderna sono i disegni delle architetture avveniristiche in ferro e vetro, molte delle quali realizzate in occasione dell’Esposizione Universale del 1855.
Eppure, nonostante la straordinaria carrellata di capolavori, il Manet che sorprende, affascina e conquista pubblico e critica è quello de “L’heure espagnole” (Maurice Ravel). Nel 1865, per lasciarsi alle spalle le polemiche provocate dalla presentazione della scandalosa Olympia al Salon, Manet parte per un viaggio in Spagna. Di ritorno in Patria, portando negli occhi la luce ed i colori di quei luoghi, realizza una serie di straordinari dipinti che strizzano l’occhio al lavoro di Goya: la massiccia ballerina Lola de Valence (1862), la severa Angelina (1865) e il mozzafiato Combattimento di tori (1865-1866). Goya, a livello stilistico e compositivo, ricomparirà citato anche più avanti nella mostra, nel celeberrimo Il balcone (1868-1869).
Andando per musei a studiare la pittura spagnola, Manet ha modo di confermare la propria predilezione per Velázquez. Da Madrid scrive all’amico e collega Henri Fantin-Latour sottolineando come il grande ritrattista di epoca barocca “da solo vale il viaggio; i maestri di tutte le scuole che lo circondano al museo di Madrid e sono molto ben rappresentati sembrano tutti degli impostori. È il pittore dei pittori; non mi ha sorpreso, mi ha estasiato”. Manet si ispira a Velázquez nella realizzazione de Il pifferaio (1866), il dipinto dalla forte carica dirompente rifiutato dal Salon di quello stesso anno ma ammirato quando esposto in occasione dell’Esposizione Universale del 1889. Manet dà vita a una composizione minimalista, collocando il piccolo musicista su un fondo neutro che faccia risaltare il protagonista della tela come non mai. Un espediente che consente a Manet di far sparire gli studi rinascimentali sulla prospettiva sotto uno strato di colore piatto ed uniforme, steso con vigorosi colpi di spatola, e preparare il terreno all’arte del XX secolo.
Silvana Costa
La mostra continua a:
Palazzo Reale – Piano Nobile
piazza Duomo, 12 – Milano
fino a domenica 2 luglio 2017
orari: martedì, mercoledì, venerdì e domenica 09.30 – 19.30
giovedì e sabato 09.30 – 22.30
lunedì 14.30 – 19.30
la biglietteria chiude un’ora prima
www.palazzorealemilano.it
Manet e la Parigi moderna
a cura di Guy Cogeval, Caroline Mathieu, Isolde Pludermacher
direzione mostra Guy Cogeval, Nicolò Sponzilli
progetto espositivo Corrado Anselmi
con Laura Merrone
progetto di illuminazione Studio Balestreri Lighting Design – Barbara Balestreri
con Lisa Marchesi
progetto grafico di allestimento Bruno Stucchi – Dinamomilano
con Sara Murrone, Francesca Forquet, Ilaria Boldorini
promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, MondoMostre Skira
www.manetmilano.itCatalogo:
Manet e la Parigi moderna
a cura di Guy Cogeval, Caroline Mathieu, Isolde Pludermacher
con i contributi di Isolde Pludermacher, Caroline Mathieu, Akiya Takahashi, Leïla Jarbouai
Skira, 2017
22 x 28 cm; 248 pagine; 233 illustrazioni a colori; cartonato
prezzo 40,00 Euro
www.skira.net