Lo storico dell’arte Germano Celant firma il volume Skira dedicato alle creazioni di Marco Bagnoli. Il tomo dalle importanti dimensioni – è quasi una scultura esso stesso, con la sua enigmatica copertina a sfondo scuro – cataloga le decine e decine di opere realizzate dallo scultore fiorentino dagli anni Settanta ad oggi, attraversando movimenti e definizioni. Sfogliandolo, anche velocemente, si assiste a come in quasi mezzo secolo di attività Bagnoli abbia mutato la tecnica di pari passo con un progressivo raffinamento del linguaggio, talvolta anticipando tendenze.
Il libro si apre con un corposo saggio redatto da Celant; segue quindi il catalogo delle sculture ordinate in capitoli che sovente coprono un solo anno di attività, tante sono le opere da presentare. In appendice le note, incluse quelle scritte di pugno dall’artista, il regesto completo e gli apparati. Non manca l’elenco dei prestigiosi eventi internazionali cui lo scultore ha preso parte e i musei dove è stato invitato ad esporre.
La carta patinata aiuta a enfatizzare il gioco di luce e ombre in cui le sculture di Marco Bagnoli prendono vita e si trasfigurano. Molta della produzione dell’artista è infatti concepita come site specific, finalizzata a esaltare peculiari condizioni luminose. Noi per esempio abbiamo ancora scolpita nella mente la sorpresa dinnanzi a Noli me Tangere (1997) esposta alle Corderie dell’Arsenale nell’ambito della XLVII Biennale d’Arte di Venezia. Una semplice colonna sulla cui sommità è collocata una composizione di dischi sovrapposti e uno specchio: un insieme bizzarro che, all’accensione di un faretto, proietta sull’adiacente colonna in mattoni l’ombra di una statua. Un insieme che genera emozioni forti senza bisogno di aggiungere alcuna didascalia; una struttura apparentemente enigmatica che permette di cogliere la componente ludica dell’arte. Un fascino che, come spiegano le schede del volume, non è casuale: ogni gesto scaturisce dal complesso background culturale di Bagnoli che, per esempio, in Noli me Tangere cita Pontormo, pittore cinquecentesco suo conterraneo.
Nomi importanti della fotografia hanno realizzato gli scatti pubblicati – sovente a doppia pagina – per permettere al potere dell’immagine di colpire con immediatezza il lettore e stimolargli la fantasia. Le parole con un simile autore sono infatti un di più, una didascalia interessante per capire le intenzioni ma non necessaria perché le opere hanno già di loro uno straordinario fascino comunicativo.
Marco Bagnoli, a differenza di tanti suoi colleghi, si sforza di dare un nome alla concretizzazione delle sue visioni: le creazioni hanno titoli che echeggiano storie tutte da indagare come per esempio L’anello mancante alla catena che non c’è (1989) i cui colori bruniti ben si sposano con le imponenti mura in mattoni a vista della Sala Ottagonale della Fortezza da Basso a Firenze. Studiando la cronologia, la scultura è effettivamente un anello di congiunzione tra il pallone aerostatico di Albe of Zonsopgangen (1984) – di cui sembra essere la struttura interna, spogliata della tela rossa – e l’atelier a Montelupo Fiorentino inaugurato lo scorso anno, concepito da Bagnoli con l’architetto Toti Semerano quale scenografico espositore di tante sculture, a iniziare proprio da L’anello mancante alla catena che non c’è.
Pagina dopo pagina si comprendono meglio le elucubrazioni mentali compiute dall’artista e il loro processo evolutivo. Eppure più se ne conosce la logica di fondo maggiore resta lo stupore e il volume Marco Bagnoli di Germano Celant finisce per configurarsi come un’avvincente fiaba. A ciascuno dunque il piacere di sfogliare il libro e trovare la propria chiave emozionale di lettura.
Silvana Costa
Marco Bagnoli
di Germano Celant
Skira, 2018
24 x 28 cm, 512 pagine, 703 colori e 9 b/n, cartonato
prezzo: 90,00 Euro
www.skira.net