MdL | Storie di architettura

Layout 1Michele De Lucchi racconta come nascono i suoi progetti. Lo fa da architetto, accompagnando le parole con schizzi esemplificativi e fotografie dei lavori terminati, dando così una straordinaria concretezza alle proprie riflessioni.

In Italia, al momento, non si scorgono eredi di quei grandi teorici dell’architettura, attivi a partire dal primo dopoguerra, che tutto il mondo ci invidia. Abbondano invece i critici che, con le loro considerazioni autoreferenziali, scatenano polemiche sterili e poco più.
Ben vengano allora architetti che, come Michele De Lucchi in Storie di architettura, abbiano voglia di spiegare con semplicità i propri lavori, non solamente descrivendo materiali, forme e funzioni, ma ricostruendo le associazioni mentali che li hanno condotti a quelle scelte.
Per De Lucchi – come afferma nel Prologo, quasi parafrasando il Merleau-Ponty di Fenomenologia della percezione – l’atto di (de)scrivere è necessario affinché l’edificio divenga e rimanga reale. “Costruire vuol dire inventare e se non si sanno raccontare le proprie invenzioni le costruzioni non esistono. Non è che sono meno significative o meno uniche e personali. Non esistono, non esistono proprio. Non si vedono, non si capiscono, non si ricordano. Veramente, letteralmente, non esistono. Come tutto quello che non è trasferibile in parole non entra nel cervello. Passa sì attraverso gli occhi, la bocca, il naso, le orecchie ma non si sente. Non arriva alla mente conscia e sensibile che percepisce, assimila, gusta, ammira, memorizza e immagazzina per utilizzi futuri” (pagina 7).
I racconti che costituiscono la raccolta pubblicata da Skira non sono perciò mere riflessioni estemporanee ma testi legati, ciascuno, ad un preciso progetto: quale questo sia lo si scopre nella seconda parte del volume, in cui sfilano  le fotografie di quanto portato a termine o i disegni delle idee ancora su carta. Progetti controversi come lo spostamento della Pietà di Michelangelo, incarico rifiutato svariate volte per la reticenza a confrontarsi con il celeberrimo allestimento firmato BBPR; creazioni dall’alto valore simbolico come i padiglioni concepiti per Expo 2015; restauri famosi come quelli condotti per conto della Fondazione Cini a Venezia; piccoli edifici votivi in cui raccogliersi a pregare e contemplare il paesaggio-manifestazione del potere divino; raffinati allestimenti e sculture lignee da interpretare come allegorie della vita.
Dalla lettura delle Storie di architettura emerge una personalità curiosa e sensibile al contesto fisico, sociale e culturale in cui si trova ad intervenire. Ogni capitolo sembra ricostruire l’approccio di De Lucchi all’atto creativo, il processo di scoperta del sito su cui agisce, la ricerca di tracce storiche da enfatizzare, l’elaborazione di un’idea forte che conferisca all’intervento una propria forte identità. “Progettare significa mettere il seme di un pensiero nell’idea di un edificio” (Il seme – luglio 2014, pagina 75).
Un fraseggio essenziale, quasi privo di subordinate, sembra impedire alle descrizioni di scivolare in tecnicismi e delinea il profilo di un professionista che sa dialogare mettendosi, umilmente, al livello del proprio interlocutore che architetto spesso non è. Descrizioni tratte dalle relazioni per la committenza, dalle riflessioni che aprono i cataloghi delle sculture esposte alla Galleria Jannone o dai pensieri appuntati sul diario. Descrizioni di progetti che rivelano molto della personalità del loro autore. Egli stesso, denotando grande consapevolezza di sé, traccia del resto un proprio autoritratto: “sarà forse che tutto nella vita si fa mettendo mattone sopra mattone, aggiungendo pazientemente pezzettino a pezzettino. A me piace molto. Gli psicanalisti dicono che è tipico delle personalità ossessive e sono d’accordo, ma vi consiglio di essere ossessivi e di godervi la gratificazione di costruire una piccola casetta di piccoli mattoni” (Costruire – giugno 2014 pagina 14).
Le storie, in fondo, raccontano proprio questo: la gratificazione del costruire, del vedere l’idea svilupparsi dallo schizzo iniziale (e sono molti i disegni che accompagnano i testi, dando immediata concretezza alle parole) al progetto finito o dello scolpire il legno con le proprie mani, rendendo inconsistente la linea che separa l’artigiano dall’artista. “Le croste sulle mani sono belle, ma belle di chi le mani le ha usate tanto senza riguardi, per spaccare le pietre o vangare la terra, croste che hanno una storia di fatiche, sofferenze, dedizione. Mani di uomini e donne che con le mani hanno fatto tutto e che si sono fidate della propria forza e del proprio ingegno per sfidare spesso destini immeritati” (La crosta – aprile 2014, pagina 59).

Silvana Costa

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Storie di architettura
di Michele De Lucchi
Skira, 2016
14 x 21 cm, 128 pagine, 114 b/n, brossura
prezzo: 19,50 Euro
www.skira.net