Palladio. Il film

Il 20, 21 e 22 maggio esce nelle sale di tutta Italia il docufilm dedicato al pensiero e all’opera di Andrea Palladio, architetto di epoca rinascimentale oggi più contemporaneo che mai.

Sul finire degli anni Trenta del Cinquecento l’umanista Giangiorgio Trissino dal Vello d’Oro si fa accompagnare a Roma dal giovane tagliapietre padovano Andrea di Pietro della Gondola, di cui intuisce il grande talento, affinché arricchisca la propria formazione con lo studio dell’arte classica. Durante tali viaggi Andrea, poi ribattezzato con lo pseudonimo grecizzante “Palladio”, esegue quei rilievi dettagliati degli edifici antichi attorno cui svilupperà I quattro libri dell’architettura (1570).
Palladio, come non mai trattatista prima di lui, infarcisce i quattro volumi di teorie e di disegni esplicativi in gran copia: prospetti, piante, dettagli ma anche tante sezioni che mostrino il modo di costruire nella Roma antica e misure che rendano con precisione l’idea dell’imponenza delle strutture. I libri, a guisa di un moderno manuale, tradotti e diffusi in tutto l’Occidente, ispirano nei secoli a seguire edifici in Francia, Regno Unito, Russia e nei neonati Stati Uniti, autorizzandoci di fatto a definire Andrea Palladio “il primo architetto globale della storia”.
A questa figura iconica la casa di produzione Magnitudo Film dedica il documentario Palladio, diretto da Giacomo Gatti con la direzione scientifico-storica di Gregorio Carboni Maestri e proiettato nelle sale italiane i prossimi 20, 21 e 22 maggio 2019. Carboni Maestri è un giovane architetto che insegna in Belgio, alla Facoltà di Architettura dell’Université libre de Bruxelles, poco lontano da dove si ergeva il limes a difesa dell’Impero Romano dai barbari. Così come fece Trissino anche Carboni Maestri guida gli studenti del primo anno di corso alla scoperta dei canoni di armonia e proporzione del periodo classico, utilizzando la restituzione che ne fa Palladio, sia a livello teorico con I quattro libri dell’architettura, sia a livello progettuale con gli edifici che realizza nei territori della Repubblica di Venezia.
Sono proprio gli studenti di Gregorio Carboni Maestri ad aprire il documentario con le loro riflessioni sull’articolazione delle ville e sui loro apparati decorativi. La troupe segue poi il professore oltreoceano per un incontro con colleghi del calibro di Kenneth Frampton e Peter Eisenman al fine di confrontarsi sul valore odierno del pensiero palladiano. Eisenmann ricorda con grande dolcezza il suo primo viaggio in Italia, accompagnato dall’amico Colin Rowe che all’ingresso di Villa Pisani a Montagnana (1552/55) lo sfida: “Entra e  scopri ciò che non si vede”. Questo stesso invito è rivolto esplicitamente da Carboni Maestri agli studenti durante l’escursione a Venezia e implicitamente dal regista allo spettatore nel mostrargli le ville realizzate da Palladio in Veneto – tasselli di un museo diffuso dichiarato nel 1994 Patrimonio Unesco dell’Umanità insieme alla città di Vicenza – e le chiese veneziane.
Ma cosa non si vede?
Non si vede l’aderenza del progetto palladiano alle richieste del committente – talvolta travalicandole con soluzioni che vanno ben oltre le aspettative – ma, ancor più, non si vede la perfetta testimonianza delle vicende socio-politiche del tempo. Il documentario, mosso da siffatta idea di fondo bandisce le ricostruzioni storiche per concentrarsi sul contemporaneo, non guarda alle ville come meta turistica ma come luoghi tutt’ora vissuti, raccontando le storie di chi le abita e di chi si occupa di preservarle efficienti. Spiega perché, a distanza di secoli, I quattro libri dell’architettura non siano una mera presenza polverosa in biblioteca ma testi ancora consultati con attenzione.
Nel 1508, anno di nascita di Andrea di Pietro della Gondola, si registra la massima estensione raggiunta dai Domini di Terraferma, i territori della Repubblica di Venezia nell’entroterra. L’espansione è frutto di guerre sanguinose che inducono la Serenissima a far radere al suolo le fortificazioni da cui gli avversari sferravano gli attacchi, facendo così sparire qualsiasi traccia della loro esistenza. Demoliti castelli e mura difensive lo sguardo corre libero sul territorio e i segni dell’afferenza alla Repubblica di San Marco sono solo opere di ingegneria idraulica per migliorare la resa agricola di terreni su cui i nobili alleati si fanno costruire ville suburbane. Sono oltre una ventina i capolavori realizzati da Palladio nell’entroterra veneto, rigorosamente privi di fortificazioni o altri attributi di potere, attingendo ai motivi della Roma repubblicana per decorarne i prospetti e chiamando i massimi pittori dell’epoca per arricchirne gli interni. Oltre alla villa vera e propria l’architetto, tante volte a partire da fabbricati preesistenti, crea il complesso sistema di locali destinati a deposito, laboratorio e allevamento necessari per far funzionare la tenuta agricola.
Giacomo Gatti sembra trascurare la moda dilagante dell’utilizzo dei droni, privilegiando ad artificiali vedute aeree riprese ad altezza uomo che valorizzino il progetto come concepito dall’autore per stupire i propri contemporanei. Le inquadrature frontali, come spiega Gregorio Carboni Maestri ad Artalks, permettono un immediato confronto con i prospetti inclusi ne I quattro libri dell’architettura, enfatizzando il senso di armonia dato dalla simmetria, di profondità ottenuto con i loggiati e di meraviglia infuso dalla combinazione di colonne, archi, timpani e fregi. Le riprese dall’interno delle sale offrono scorci sulla campagna circostante incorniciati da elementi classici, riprodotti poi anche negli affreschi – nel caso di Villa Barbaro (1554/60) eseguiti da Paolo Veronese – in uno straordinario gioco illusionistico tra interno ed esterno, tra mondo reale e ideale.
Il documentario indaga anche l’illusorio modo di costruire di Palladio che, nato nel Veneto ricco di cave di marmo, ex-tagliapietre, per le sue prestigiose architetture preferisce al nobile marmo il mattone della tradizione padana, ingegnandosi di rivestirlo al fine di farlo apparire prezioso. Non è tuttavia una scelta inusuale: poco lontano, a Mantova per il casato dei Gonzaga, Giulio Romano a Palazzo Te (1524/34) cela i mattoni con intonaco plasmato con sapienza a fingere bugnato rustico e colonne in marmo.
All’interno delle ville la troupe incontra architetti e restauratrici impegnati in un costante lavoro di conservazione del patrimonio edilizio e decorativo, proprietari e insigni studiosi che davanti alla telecamera spiegano con trasporto il valore dell’opera di Andrea Palladio. Tra costoro non poteva mancare Lionello Puppi, l’insigne storico che forse ha pubblicato più di chiunque altro su questo architetto nel corso della lunga carriera stroncata lo scorso settembre. Raccontano come Palladio, per le sue citazioni di architettura classica, nonostante il successo registrato nei Domini di Terraferma e il superbo lavoro eseguito a Vicenza, a Venezia abbia ricevuto commissioni solo per edifici religiosi. Per i consiglieri della Serenissima infatti a poco valgono le rassicurazioni del celeberrimo progettista di ispirarsi all’epoca repubblicana e non alle costruzioni di età imperiale, invisa perché contraria ai loro ideali di governo.
Ipnotizzati dal gioco dei timpani della Chiesa del Redentore (1577/92) alla Giudecca, realizzata come ex-voto per la fine dell’epidemia di peste che ha falciato oltre un terzo della popolazione veneziana, capiamo infine come Tommaso Jefferson possa aver scelto di trarre spunto dal trattato di Palladio e dal suo stile classico, disciplinato dalla ragione dell’Umanesimo rinascimentale, per gli edifici simbolo dei neonati Stati Uniti. Architetture fiere ma non emblemi di potere egemone; monumenti destinati a ospitare servizi essenziali per la popolazione – università, tribunali, biblioteche – e sedi di governo di una nazione giovane ma retta da grandi ideali di partecipazione, democrazia e cultura. Negli USA si dovrà attendere tuttavia sino agli anni Settanta del XX secolo perché un giovane Peter Eisenman, formatosi tra le mura degli atenei e dei palazzi della vecchia Europa, si preoccupi non solo di fare edifici ma di stimolare con i suoi scritti ricerca, teoria e dibattito architettonici. Ma questa è un’altra meravigliosa storia, che racconta dell’eredità palladiana nella cultura contemporanea, e ci auguriamo qualcuno la voglia raccontare.

Silvana Costa

Palladio
titolo originale Palladio – The Power of Architecture
regia Giacomo Gatti                                  
con Kenneth Frampton, Peter Eisenman, Antonio Foscari, Lionello Puppi, Gregorio Carboni Maestri
scritto da Giacomo Gatti, Elia Gonella                  
direzione scientifica, storica e architettonica Gregorio Carboni Maestri
fotografia Massimiliano Gatti, Marco Sgorbati
scenografia e costumi Claudia Botta
montaggio Giacomo Gatti, Tommaso Feraboli (A.M.C.)
musiche  Diego Ronzio
produzione Magnitudo Film
genere lungometraggio documentario
anno 2018
durata 119 min
distribuzione Magnitudo Film con Chili

al cinema 20-21-22 maggio 2019
trailer e info sulle sale: