Ultimi due percorsi nell’universo della fotografia. All’ex Cavallerizza di Lucca sono esposte alcune interessanti personali al femminile; e nella Chiesa dei Servi il lavoro del vincitore del PhotoLux Award 2017 sul tema del Mediterraneo, Domingo Milella; oltre alla serie Land of no-return del vincitore del Leica Oskar Barnack Award 2017 Newcomer, Sergey Melnitchenko.
In un sabato soleggiato ma gelido, la prima tappa del PhotoLux è l’ex Cavallerizza, palazzina restaurata recentemente e che dovrebbe ospitare eventi vari di promozione turistica. Purtroppo, l’ambiente assomiglia più a un guscio vuoto che a un palazzo storico recuperato alla collettività. Manca di tutto – dal riscaldamento (e, immaginiamo, raffrescamento estivo) a un’illuminazione adeguata, da alcune sedie per poter vedere con calma le foto dei partecipanti all’Intarget PhotoLux Award 2017 Challenge – proiettate in video – a una curatela che spieghi il perché della scelta delle personali in mostra (quale il filo conduttore, quale scelta etica o estetica?).
Sempre all’ex Cavallerizza anche l’esposizione del libro vincitore del PhotoBook Award 2017, che è stato assegnato a Mayumi Suzuki per The Restoration Will, libro fotografico dedicato alla sua famiglia, i cui membri sono tutti deceduti nel 2011, a causa del terremoto e del successivo tzunami che hanno colpito il Giappone.
Accanto, una serie di personali di fotografe provenienti da nazioni, culture ed epoche diverse (a parte il lavoro dell’israeliano Shai Kremer).
La giovane tunisina Rania Werda presenta Autres Miroirs. Il calligrafismo arabo fa da sfondo a donne velate, o parzialmente tali, che sembrano confondersi eppure resistere a un modello etico, oltre che estetico, che le vuole oggetti, puri arabeschi inespressivi di fronte al logos maschile, e che subiscono un processo di deindividuazione a causa di tradizioni, costumi e religioni sempre più oppressive.
Dell’italiana Eleonora Olivetti (scomparsa nel 2010), si espongono, tra gli altri, due interessanti collage dedicati alla Tunisia con una perturbante riproposizione labirintica di cielo e terra, vestigia umane e paesaggio desertico, realtà e rielaborazione immaginifica: una fusione di piani che schizza un paesaggio della mente.
Una sezione a parte è dedicata alle popolazioni dell’Italia centrale, colpite dal terremoto nel 2016. Ma più che le persone, i veri protagonisti (a parte i pompieri) sembrano essere i resti, le macerie, gli oggetti persi per sempre, eppure intatti, e una natura che, lentamente, riprende il sopravvento sulle vestigia umane. Si veda la pianta di Pietro Masturzo (1) che si fa largo tra una sedia rotta e un muro sgretolato; o il vasetto di plastica con le sue foglioline infestate di erbacce, che pare resistere imperterrito tra le macerie (Pierpaolo Bessio, 18). O ancora, i quadri rimasti appesi alle pareti di un’abitazione crollata (Andrea Picciolo, 5), e il letto rifatto con la sua trapunta a colori pastello ben stesa (Beatrice Bruni, 15).
Esseri umani con maschere di animali, in paesaggi surreali, sono i protagonisti della serie fotografica, Between Worlds, che rimanda – volontariamente o meno – alle favole di Esopo. Per Polixeni Papapetrou (australiana di origini greche) una dama coniglio si perde in un bosco à la Alice nel paese delle meraviglie (The visitor, 2012); la debuttante con faccia da dalmata si inchina ironicamente al suo cavaliere, di fronte all’entrata di un labirinto in stile Shining (The debutants, 2009); una specie di orsetta con abito da marinaretta legge, ignara della stranezza di cui è espressione, in riva al mare (The reader, 2009); due anziane coniglie (di cui una su una specie di carrozzina tra l’infantile e il paraplegico), ma con corpi di giovani educande (The loners, 2009), vanno a passeggio sugli scogli; una civetta alza le ali (ossia i lembi dello scialle), appollaiata su un albero (The Watcher, 2009). Il visitatore è assalito da un senso di straniamento, mentre l’onirico invade la realtà.
E ancora, la franco-algerina Marie Hudelot presenta Heritage-Natif. Il camuffamento come superamento della personalità individuale o come appartenenza storico-culturale? Le risposte dell’artista toccano corde diverse, dall’autoironico – vedasi Camuffamento con ananas, in cui la tovaglia a quadri sembra rimandare alla kefiah araba, mentre i colori dell’abito della modella si sposano a quelli del frutto, con un piglio quasi alla Monsanto; o La serva, essere inesistente in quanto individuo laddove la calza di lana le cela volto e personalità. Emblematica, sempre nella serie dedicata al camuffamento, la donna velata che reca sul volto anche un casco da schermitore – la duplice valenza è palese. Hudelot ricrea anche la sua storia familiare pan-africana tra passato e presente, con una serie di personaggi simbolici, quali Il leader militare o Il Re. In cui, però, all’elemento indicatore di un particolare status (come la divisa e lo scettro) fanno da contrappunto ironico elementi destabilizzanti e/o perturbanti (il velo con monete dorate e il fiocco).
Tra tutte queste personali dedicate a fotografe, in mostra anche il lavoro dell’israeliano Shai Kremer (con rimandi forse inconsapevoli alla videoarte e all’hyper pop di Laurence Gartel). World Trade Center: Concrete Abstract è composta da fotografie di grande formato realizzate, ognuna, con oltre 60 scatti sovrapposti e presi in tempi diversi. La sovrapposizione di matrice futuristica comunica più angosce che aneliti a le magnifiche sorti e progressive.
Seconda tappa della giornata e ultima di questo ricchissimo appuntamento con la migliore fotografia autorale e di reportage, nella Chiesa dei Servi di Lucca. Anche qui, si lamentano i soliti disservizi: freddo, mancanza di posti a sedere dove riposare, luce carente o non ottimale. Un’esposizione di prestigio come il PhotoLux meriterebbe indubbiamente di meglio.
In mostra, innanzi tutto, i finalisti del Leica Oskar Barnack Award 2017. Per la Francia, Emilien Urbano presenta War of a Forgotten Nation (2014), che indaga il ruolo della nazione curda nella zona di conflitto tra Siria, Iraq e Turchia. Le fotografie di Urbano sembrano composizioni geometriche con modelli in posa, sia quando ritraggono i miliziani curdi che si appostano in una strada apparentemente sicura, tra palazzi abbandonati; sia quando tre donne e due bambini (di cui un neonato) riposano in un cortile tra i panni stesi su fili che costruiscono diagonali prospettiche; e perfino nel fotografare i morti arrotolati in coperte e abbandonati a lato di una strada. Quasi pittorici i ritratti di due militari in interno, dove al vento che scompiglia la tenda fa da contrappunto coloristico il fumo bianco di una sigaretta.
Il sudafricano Gideon Mendel costruisce il suo personalissimo album di famiglia con i posati degli abitanti di zone alluvionate nel 2007. Tra reale e surreale si vedono coppie o singoli che, immersi nell’acqua o nel fango fino alle ginocchia o persino fino alla gola, posano di fronte o dentro o persino seduti sulla veranda della loro abitazione inondata. Non ci sono confini al progressivo innalzamento delle acque e al cambiamento climatico: dai Paesi del sud del mondo e dagli abitanti delle bidonville, fino ai ricchi europei o statunitensi del nord che si credevano protetti dalle loro mansion, la devastazione dell’acqua sembra inarrestabile. Ma questo non toglie ai volti delle persone colpite una dignità da vecchia foto sull’album della nonna.
Interessante anche il lavoro di Yoann Cimier (dalla Francia). Nomad’s Land è una serie fotografica dedicata alla reinterpretazione moderna dell’accampamento o della vita nomade, con scatti dedicati a tende da spiaggia, baracche di fortuna per migranti, baretti improvvisati, ombrelloni. A dominare è il bianco, accecante, del sole sulla sabbia e un senso di precarietà silenziosa e intima.
Molto belli i lavori dell’ucraina Viktoria Sorochinski, raccolti in Land of no-return. Ritratti d’interno (o in aie, cortili, e comunque luoghi che appartengono alla sfera domestica) di frugalità contadina, devozione, abbandono, senilità; di interni macerati dal tempo, dal freddo, dalla sporcizia, dalla povertà. Piccoli quadri dal sapore pittorico di un Vermeer, caratterizzati da colori iperreali che rimandano più alla corposità opulenta delle nature morte fiamminghe, che agli still life di un Edward Hopper.
Domingo Milella, italiano, è il vincitore del PhotoLux Award 2017. In mostra architetture urbane e naturali che si compenetrano, costruzioni tra rocce, su scogli, a picco sul nulla che riscrivono il panorama. La mano dell’uomo che sfregia mentre crea altri universi di senso. Segni rupestri, graffiti, incisioni si integrano con l’ambiente circostante. E il logos si fa pietra, masso, bomboletta spray.
E infine l’emozionante Behind the Scenes, la serie che ha permesso a Sergey Melnitchenko di vincere il Leica Oskar Barnack Award 2017 Newcomer (ossia, il premio per gli under 25). Il giovane ballerino e fotografo ucraino indaga con pudore e affetto il dietro le quinte dei club di Dongguan (capitale cinese del sesso). Un’intimità sofferta, condivisa, di donne e tra donne. La giarrettiera come oggetto di lavoro, la sigaretta perennemente accesa, i lividi e il rossetto, la richiesta d’affetto di un abbraccio. Nessun compiacimento o lascività, ma pudore e rispetto in questa serie che ritrae un mondo e, in pochi scatti, racconta decine di storie. Perché la fotografia, quando si sposa all’autoralità, ha la forza del linguaggio senza la sua retorica.
Simona M. Frigerio
Le mostre di PhotoLux 2017 continuano:
Lucca, varie location
fino a domenica 10 dicembre
www.photoluxfestival.itEx Cavallerizza
piazza Verdi
sabato, domenica e venerdì 8 dicembre, ore 10.00-19.30
Chiesa dei Servi
piazza dei servi, 12
sabato, domenica e venerdì 8 dicembre, ore 10.00-19.30