La casa editrice Skira riporta in libreria l’autobiografia di Pietro Consagra, uno degli scultori più apprezzati del XX secolo: un avvincente viaggio dalla Sicilia agli States e ritorno, che corre in parallelo a un percorso di costante crescita umana e artistica.
Vita mia è il titolo scelto da Pietro Consagra per l’autobiografia, pubblicata nel 1980 e oggi riedita da Skira, ricca di ricordi, disegni e fotografie. Leggendo si apprende coma sia l’arte, in particolare la scultura, la ragione di vita di Pietro Consagra. Egli infatti lo confida senza remora alcuna: “Nino Tortorici e Pietro Loche […] hanno scelto un capolavoro diverso dal mio. Per loro il capolavoro è la famiglia e non se la sentirebbero mai di far passare avanti un loro disegno a qualsiasi cosa della vita affettiva. Hanno fatto una scelta differente dalla mia” (pag. 144). Questa manciata di frasi è più che sufficiente a rivelare il tono del racconto: Vita mia è un libro assolutamente non autocelebrativo, un’analisi impietosa e spietata delle proprie scelte esistenziali e lavorative che Consagra compie alla soglia dei sessant’anni.
La narrazione si svolge in prima persona, con uno stile semplice e diretto, sobrio e distaccato ma non monotono, né banale, né noioso. Umile ma senza mai alcuna vergogna per le dure esperienze che ha affrontato, il celebre autore si sofferma sovente in riflessioni su quanto gli accade attorno.
Consagra nasce nel 1920 a Mazara del Vallo; il padre è un venditore porta a porta, professione tra le più biasimate dalla società che lo obbliga a trascorrere lunghi periodi lontano da casa. Professione dagli esiti altalenanti che a tratti non garantisce alla famiglia nemmeno i soldi necessari all’acquisto di un pezzo di pane. Pietro Consagra descrive un’infanzia malinconica e solitaria, in cui le doti artistiche rappresentano la sua unica possibilità di riscatto: “è stato più facile per me avere creta da modellare che colore per dipingere. La creta era a portata di mano mentre il colore, esauribile, bisognava comprarlo. Mi sono sentito perciò dentro il destino di scultore più che di pittore” (pag 155). Pietro da adolescente si premura di mostrare disegni e sculture a chiunque potesse procurargli una borsa di studio, la costanza viene ripagata e parte per Palermo dove frequenta prima il liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti. Da lì, con in tasca la tessera del Partito Comunista – si iscrive fortemente attratto dagli ideali che professano – e le lettere di referenze della Croce Rossa Americana con cui collabora, parte alla scoperta del mondo. Prima tappa Napoli, quindi Roma dove trova alloggio in un piccolo stanzino dello studio in via Margutta di Renato Guttuso, una vera è propria factory romana dove transitano politici, artisti di rilievo e giovani di talento. Qui, mentre il padrone di casa è in viaggio, Consagra con Turcato, Attardi, Accardi, Sanfilippo, Dorazio e Perilli idea Forma 1, il giornale/manifesto dell’omonimo movimento in cui la compagine di giovani artisti si dichiara marxista e formalista. Il Gruppo Forma 1 nasce dopo un viaggio di Consagra e alcuni amici a Parigi, per conoscere Picasso, l’artista di cui tutti parlano. È un’esperienza illuminante che permette loro di entrare in contatto con quella miriade di nuovi movimenti intesi a rinnovare il linguaggio dell’arte mondiale perché “tutto quello che c’è stato di fantastico nel nostro secolo non è venuto dal realismo. Di realistico nel mondo c’è stato solo l’armamento militare” (pag. 104).
Guttuso, letti gli intenti espressionisti del Gruppo, reagisce in maniera spropositata, rivelando al giovane scultore la sua vera natura: il pittore neorealista punta a essere l’unico punto di riferimento artistico del PCI; è quindi sua premura screditare ogni concorrente e qualsiasi nuovo linguaggio, etichettandolo come reazionario. La delusione è forte e mina i rapporti tra Consagra e Guttuso per il resto della vita, ponendoli in opposizione sia sul piano politico sia sul piano artistico.
Vita mia restituisce un grandioso affresco del Dopoguerra mettendone a fuoco alcuni dei protagonisti – magari giocando per confronti tra carattere e modo d’azione, come accade per Gramsci, Moro e Togliatti – ma lasciando sullo sfondo l’ambiente urbano e il contesto sociale. Consagna non si fa scrupoli a parlare dei forti condizionamenti imposti dai partiti e dai loro artisti alle commissioni deputate ad assegnare premi o a decidere l’ammissione alla Biennale; delle problematiche interne al PCI; della forte diatriba tra astrazione e figurazione e, negli anni Sessanta, tra New York e Parigi.
Consagra, nonostante gli anni di ristrettezze economiche, la crisi creativa e famigliare, rimane saldo nei propri principi umani e comunisti, intesi nel senso più ampio della parola. Senza indulgere nel rancore, in Vita mia si scaglia contro il perbenismo della borghesia e l’ipocrisia del sistema: a Roma, anche quando famoso, continua a trovarsi con gli amici nelle trattorie mentre guarda con distaccata ironia i salotti mondani. Rifiuta l’offerta di Peggy Guggenheim di includere una sua scultura nella collezione esposta alla Biennale del 1948 – la prima del Dopoguerra – perché la ricca americana non fa cenno di volergliela pagare. Così come rifiuta di avere ulteriori contatti con Emilio Jesi dopo che il collezionista, per timore producesse altri esemplari delle sculture appena acquistate, gli distrugge i modelli di studio.
Le riflessioni sull’arte, la vita e la politica sono la colonna portante dell’intero volume e mentre la famiglia passa in secondo piano – defilata come Carla Lonzi, la seconda compagna, che è sempre riottosa a presenziare ai vernissage delle mostre di Consagra – sono gli amici che brillano per la costante presenza al suo fianco, dal pittore Giulio Turcato al fotografo Ugo Mulas, senza tralasciare Salvatore Scarpitta, artista poliedrico e impareggiabile guida durante i viaggi negli Stati Uniti. Ci viene perciò spontaneo definire Vita mia come un percorso esistenziale, punteggiato di elementi drammatici, che svela l’Uomo che sta dietro ogni opera.
Si deve infatti attendere pagina 155 per Il percorso della mia scultura, una timida appendice in cui l’artista, all’apice della propria carriera, spiega il rapporto con la disciplina. Con straordinaria capacità di sintesi, Pietro Consagra espone il proprio percorso artistico, intrecciando all’esperienza pratica quella di autore di volumi quali La città frontale (1969) in cui la scultura sconfina nell’architettura. In punta di penna egli disserta della scelta del passaggio dalla linea retta alle curve, dalla plasticità alla bidimensionalità, dell’uso dei colori e delle scelte dei materiali. E il lettore mentalmente – o con l’ausilio di Internet – compie in pochi minuti un excursus nella produzione del Maestro.
Silvana Costa
Pietro Consagra
Vita mia
a cura di Luca Massimo Barbero
Skira, 2017
14 x 21 cm, 176 pagine, 66 b/n, brossura
prezzo: 16,00 Euro
www.skira.net