Bergamo anticipa i festeggiamenti per il cinquecentenario dalla morte di Raffaello con una mostra che raccoglie capolavori da tutto il mondo e indaga le origini e lo sviluppo del mito di uno dei più grandi pittori di tutti i tempi.
Nel cuore di Bergamo, ai piedi della “città alta”, svetta l’imponente edificio neoclassico dell’Accademia Carrara realizzato per ospitare la corposa collezione d’arte che Giacomo Carrara, a fine Settecento, ha donato alla città insieme ai fondi per un’adeguata gestione dei beni. Nei secoli il nucleo originario si è arricchito grazie a ulteriori lasciti, divenendo un vero e proprio monumento alla munificenza dei collezionisti privati e arrivando a contare migliaia di opere tra dipinti, sculture, gessi, disegni, incisioni e manufatti, databili tra il XV e il XIX secolo. Al suo interno è racchiuso il più corposo nucleo di dipinti di Lorenzo Lotto al mondo cui sono affiancati capolavori di artisti del calibro di Pisanello, Vincenzo Foppa, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Sandro Botticelli, Tiziano, Giambattista Tiepolo, Canaletto e Hayez. E San Sebastiano (1502-1503 circa), un’opera giovanile di Raffaello Sanzio attorno alla quale ha preso avvio il progetto scientifico della mostra Raffaello e l’eco del mito a cura di Maria Cristina Rodeschini, Emanuela Daffra e Giacinto Di Pietrantonio.
“Il San Sebastiano di Raffaello della Carrara è uno dei capolavori riconosciuti del museo. Eppure è un capolavoro poco studiato e di cui si sapeva pochissimo. Per questo nel 2016 si è pensato a una sorta di viaggio per spiegare questo dipinto, frutto del genio precocissimo di Raffaello. Un viaggio che tocca luoghi e persone fondamentali per la maturazione di un artista capace come pochi altri di elaborare e fare propri gli stimoli più diversi. Un viaggio dove ogni nuova opera segna una tappa di crescita”. Emanuela Daffra riassume così il senso di un’esposizione articolata in sezioni incentrate sulla formazione artistica del giovane talento urbinate, sulla gestione della bottega ereditata dal padre, sui primi capolavori che gli valgono la chiamata a Roma, alla corte di Papa Giulio II, nel 1508. La mostra si completa raccontando come, anche a distanza di secoli, il mito di Raffaello – nel 2020 si celebreranno i cinque secoli dalla sua morte – non sia esaurito ma, anzi, sia oggetto di studi ininterrotti e di cicliche riscoperte.
Raffaello nasce nella primavera del 1483 a Urbino, all’epoca sede di una delle più illuminate corti del Rinascimento, decantata nel 1492 da Giovanni Santi nella Cronaca rimata. Santi è un raffinato umanista e pittore oltre che padre di Raffaello; in mostra è esposta la sua Madonna con il Bambino e due angeli (1481-1489 circa), una tempera su tela dai colori brillanti che ben denuncia il valore nell’esecuzione e l’inventiva dell’autore: la tenda sollevata a svelare il sacro gruppo, stratagemma dall’alto valore scenografico, sarà poi ripresa dal figlio nelle opere della maturità. Nella sezione dedicata ai maestri – effettivi e ideali – del giovane Raffaello troviamo anche Luca Signorelli, il Perugino e il Pinturicchio da cui l’artista mutua il ritrarre fedelmente il committente, l’eleganza delle figure divine e la dettagliata rappresentazione del paesaggio sullo fondo, come testimonia la Madonna della Pace (1495 circa).
Nel 1494, alla morte del padre, Raffaello eredita una bottega ben avviata che, facendo ricorso a modelli iconografici collaudati, offre ai ricchi clienti una produzione rapida ma di alta qualità. Gli restano così i mezzi e lo spazio per studiare e sperimentare, come dimostra il Libretto veneziano, un taccuino oggi custodito alle Gallerie dell’Accademia di Venezia – che hanno prestato alcuni fogli in occasione della mostra – su cui un ragazzo della bottega riporta in bella copia gli schizzi eseguiti da Raffaello nel corso dei suoi viaggi di studio: dettagli anatomici e architettonici, riproduzioni di opere antiche ed elementi delle incisioni di Mantegna.
Il 10 dicembre 1500 Raffaello, ormai appellato Magister, ed Evangelista da Pian di Meleto, suo fidato capobottega, firmano il contratto per la pala d’altare dono della famiglia Baronci alla chiesa di Sant’Agostino a Città di Castello, poi andata distrutta durante il terremoto del 1789. I pezzi superstiti sono sparsi tra i musei di mezzo mondo e solamente ora, in occasione della mostra, sono state eccezionalmente riunite le tre tavole della predella, illustranti i miracoli compiuti da San Nicola da Tolentino (1500-1501). Analogamente è possibile ammirare anche la sequenza di dipinti dedicati alla passione di Gesù (1504-1505 circa) – Orazione nell’orto, Andata al Calvario e Compianto su Cristo morto – realizzati per le monache francescane di Sant’Antonio da Padova a Perugia, ora di proprietà del Metropolitan Museum of Art di New York, dell’Isabella Stewart Gardner di Boston e della National Gallery di Londra.
Dipinti coevi quali il Ritratto di Elisabetta Gonzaga (1504-1505 circa), moglie del duca Guidobaldo di Montefeltro, la Madonna con Bambino (Madonna Diotallevi, 1502 circa) o lo spettacolare San Michele e il drago (1505 circa) testimoniano il livello di perizia raggiunto dall’appena ventenne Raffaello: egli esegue volti dalla straordinaria profondità psicologica e li cala in contesti dall’elevato valore simbolico dove ogni singolo elemento rivela dettagli ulteriori sul personaggio, la committenza e la storia che li sottende. Tale effetto introspettivo è tanto più evidente in quel piccolo capolavoro destinato alla devozione privata che è il San Sebastiano, posto dai curatori in relazione con opere di soggetto analogo realizzate da pittori fiamminghi con sfondi a paesaggio o dal Perugino che opta invece per un fondo scuro.
A La Fornarina (1520 circa), l’elegante omaggio di Raffaello alla donna amata che, secondo Vasari, sarà causa della sua morte, è dedicata un’intera sala. La passione e la complicità tra l’artista e la sua musa nel XIX secolo divengono oggetto di tele in cui si sottolinea la mera componente sentimentale del rapporto, senza alcuna pretesa di documentazione storica. Più di questi fumettoni di grande formato ci sembrano invece interessanti le riproduzioni neoclassiche di dipinti quali la Madonna della sedia sebbene la didascalia – che fa notare come l’esecutore della copia si sia premurato di ingentilire i tratti dei personaggi – sia oggettivamente meno utile del giustapporvi l’originale, scelta che consentirebbe ai visitatori di cogliere da soli le differenze.
La riflessione sull’eco del mito del Maestro urbinate prosegue al piano inferiore con una sala interamente dedicata ad autori contemporanei che hanno preso le opere di Raffaello a ispirazione – o a pretesto – per le loro creazioni. Le tecniche utilizzate spaziano dai più convenzionali dipinti di Giorgio de Chirico e Pablo Picasso all’irriverente pacchetto realizzato da Christo, dalla pittura digitale su Plexiglas di Mariella Bettineschi alle fotografie di Vanessa Beecroft sino a La costellazione del Leone (1981), un vasto dipinto in cui Carlo Maria Mariani ritrae i principali esponenti della scena culturale romana degli anni Ottanta ispirandosi a La Scuola di Atene (1509-1511). Come un albero la mostra affonda saldamente le radici nel fertile terreno urbinate in cui si collocano i maestri di Raffaello, ne racconta con trasporto gli esordi artistici sino alla partenza per Roma per poi sfilacciarsi nelle tante declinazioni assunte dal mito nei secoli successivi. Tante, forse troppe per riuscire ad andare oltre la mera citazione.
La mostra è allestita nelle sale della GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, un centro espositivo ricavato da Gregotti Associati dal recupero della ex Caserma Camozzi, un complesso di sedimentazioni architettoniche di origine medievale, progressivamente implementate nel corso dei secoli. Nelle sale dedicate alle esposizioni temporanee Tobia Scarpa e Mauro Piantelli, per conto di De8 Architetti, hanno progettato un percorso espositivo dall’alta componente scenografica, ispirandosi ai materiali utilizzati comunemente dai pittori: tela in iuta spalmata di gesso e pittura, sia per schermare la luce diretta che entra dalle finestre sia, montata su intelaiature, quale sfondo per le opere. Un allestimento apparentemente semplice, quasi ingenuo, che permette di esaltare all’ennesima potenza la forza dei colori dei dipinti e il bagliore delle dorature.
Silvana Costa
La mostra continua a:
GAMeC
via San Tomaso 53 – Bergamo
fino a domenica 6 maggio 2018
orari tutti i giorni 9.30-19.00 (chiusura biglietteria 18.00)
chiuso il martedì
www.lacarrara.it
Raffaello e l’eco del mito
a cura di Maria Cristina Rodeschini, Emanuela Daffra, Giacinto Di Pietrantonio
un progetto di Fondazione Accademia Carrara
in collaborazione con GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
in coproduzione con Marsilio Electa
progetto di allestimento e grafica Tobia Scarpa e Mauro Piantelli (De8 Architetti)
con Felix Humm e Gigi Barcella
progetto illuminotecnico Telmotor
grafica e design della comunicazione Nino Busani, Alessandro Simoni
www.raffaellesco.itCatalogo:
Raffaello e l’eco del mito
a cura di Maria Cristina Rodeschini
Marsilio Electa, 2018
21 x 27 cm, 288 pagine, brossura con alette
prezzo: 35,00 euro
www.marsilioeditori.it