Il romanzo storico-biografico di Silvia Brena e Lucio Salvini cerca di far luce sul mistero dell’arte e della morte di Caravaggio a partire dagli indizi racchiusi in una copia del Martirio di Sant’Orsola. Un giallo avvincente che scava nel passato con un occhio al presente, conducendo il protagonista – un critico d’arte improvvisatosi suo malgrado detective – lungo un percorso sia investigativo sia di crescita personale.
Nei vicoli di Roma il tanfo è ormai irrespirabile, i mendicanti circondano ogni nuovo venuto alla ricerca di qualche moneta e dopo il tramonto, complice un bicchiere di troppo, spuntano i coltelli e le risse si chiudono con un omicidio. Intanto, nei sontuosi palazzi, prelati e ricchi signori si contendono anche con l’inganno i capolavori degli artisti del momento da esibire quale indice del potere socio-politico raggiunto.
No, non stiamo descrivendo il panorama capitolino odierno sebbene questo non differisca molto dalla situazione registrata a fine Cinquecento, epoca in cui si muove il giovane Michelangelo Merisi da Caravaggio alla disperata ricerca di fama e denaro, sicuro del proprio talento. Sul parallelismo tra i due secoli si sviluppa L’ultimo respiro del corvo. L’omicidio Caravaggio, il giallo a sfondo storico scritto a quattro mani da Silvia Brena e Lucio Salvini.
Le vicende iniziano quando il potente Cardinale Giulio Bargero, a distanza di quattro secoli, si ritrova investito dal Cardinale Scipione Borghese, suo illustre avo, del compito di cancellare la prova dell’infame torto commesso ai danni di Caravaggio. L’oggetto incriminato è la copia del Martirio di Sant’Orsola (1610) – quale soggetto avrebbe potuto essere più adatto alla situazione? –, l’ultimo quadro realizzato dal pittore a Napoli prima della partenza per Porto Ercole dove avrebbe trovato la morte. Quale indizio si cela nella tela ma, soprattutto, chi è il colpevole? In quel periodo reclamano infatti la testa di Merisi i Cavalieri di Malta, i cacciatori di taglie, i gendarmi pontifici e la polizia segreta.
Mentre il Martirio originale salpa alla volta di Genova, destinato a Marcantonio Doria che lo ha commissionato in onore della sorella, la copia viene affidata in segreto a Filippo Colonna affinché la porti in Spagna per nasconderla. Tornata alla luce nel 2017 grazie agli oscuri maneggi di galleristi senza scrupoli, l’opera cattura l’interesse di Dante Hoffman, un critico d’arte che, nel tentativo di decifrarne il messaggio e smascherare il colpevole, ripercorre la biografia della vittima.
La morte – così come la vita – di Merisi, al di là di quanto ricostruito dagli storici, è fitta di punti interrogativi cui Silvia Brena e Lucio Salvini offrono una soluzione alternativa ma verosimile, in linea con la teoria sviluppata nel tempo dai biografi analizzando il comportamento e le relazioni dell’irrequieto artista. Una teoria cui nel romanzo perviene lo stesso Caravaggio e, prima di morire, sentendosi vittima di un complotto, denuncia a modo suo mandante ed esecutore.
Il mistero si dipana con ritmo serrato pagina dopo pagina, coinvolgendo via via un numero crescente di personaggi che consentono a Dante Hoffman non solo di risolvere il rompicapo ma anche di giungervi per più percorsi alternativi. Un’indagine meticolosa, compiuta vivisezionando le vicende artistiche e umane del bizzoso pittore, costruendo un processo di identificazione dei personaggi attuali con i loro omologhi nel periodo di transizione tra Rinascimento e Barocco.
Abbiamo definito L’ultimo respiro del corvo come un giallo ma tale etichetta è insufficiente a descrivere un lavoro complesso, un testo che – seppur romanzato per ovvie esigenze narrative – entra nel dettaglio della tecnica e delle influenze artistiche di Caravaggio. Analogamente sono molti i temi proposti da Brena e Salvini, in primis il labile confine tra copie e falsi di celebri capolavori, copie a volte eseguite dalla stessa bottega dell’autore dell’originale. Ma Caravaggio va oltre. Hoffman durante un incontro con i giornalisti ricorda: “dunque, lei non sa che Caravaggio è stato il primo grande pittore a falsificare sé stesso? Lei non sa che De Chirico ne è stato solo una pallida imitazione? […] Ha mai sentito parlare del San Francesco in meditazione? Caravaggio ne ha dipinte almeno tre versioni. Tutte identiche. Perché lo faceva? Per denaro. E perché gliele commissionavano. All’epoca ogni chiesa e ogni congregazione francescana voleva il suo dipinto di San Francesco. E Caravaggio era sempre a caccia di denaro. Ne dipinse tre copie” (pag 164).
Caravaggio, cresciuto a Milano dove ha più volte avuto modo di ammirare il Cenacolo, è discepolo ideale di Leonardo da Vinci. Da lui mutua l’idea della luce che dall’alto scende a illuminare la scena, da lui riprende l’idea di riprodurre dal vero i soggetti, senza il passaggio dell’ingentilimento dei tratti per rispondere all’ideale rinascimentale. Come Leonardo anch’egli si appassiona di scienza: viene introdotto all’alchimia dal Cardinale Francesco Maria del Monte, suo mecenate oltre che rappresentante presso lo Stato Pontificio degli interessi del Granducato di Toscana. L’alchimia nel Rinascimento è ancora considerata una pratica oscura e, in quanto tale, invisa alla Chiesa, tuttavia molte branche della scienza le sono debitrici, non ultima la psicanalisi che vi riconosce la metafora del processo di evoluzione spirituale e psichica dell’uomo. Michelangelo Merisi purtroppo, complice il carattere arrogante e rissoso e la morte prematura, non riesce ad andare oltre lo stadio iniziale, la Nigredo, fase altrimenti nota come putrefazione. A questo processo distruttivo dell’animo fanno riferimento elementi simbolici come i teschi o i corvi che ritroviamo nei suoi dipinti più suggestivi: il già citato San Francesco in meditazione (1606) o il San Girolamo scrivente (1606) o, ancora, le ali nere di angeli e amorini.
Un ulteriore tema messo sul tavolo dai due autori è quello degli affetti. Amore, sesso e amicizia si fondono per Caravaggio in un unico potente gesto creativo: Mario Minniti, il compagno del periodo romano oltre che il modello di Fanciullo con canestra di frutta (1593/94) e Bacco (1596/97); Annuccia Bianchini, la prostituta che frequenta e ritrae in Maddalena penitente (1597) e la Morte della Vergine (1604) – capolavoro acquistato da Rubens per Vincenzo I Gonzaga, Duca di Mantova –; Lena Antognetti, la Madonna dei pellegrini (1606); Fillide Melandroni, l’amante che lo introduce al ricco banchiere Vincenzo Giustiniani, ma anche Colonna che corre sempre in suo soccorso. Rapporti complessi e tormentati che, come nel caso di Daphne Cherner per Dante Hoffman, scavalcano le rigide barriere mentali dei più puritani per inglobare l’amore, la complicità, la fiducia incondizionata e la collaborazione professionale. Rapporti solidi, sviluppati anche per compensare l’assenza dell’affetto e del supporto genitoriale. È grazie alla forza che instilla nell’animo la vicinanza degli amici che Hoffman, a differenza di Michelangelo Merisi, riesce a completare tutti i quattro passaggi della trasformazione di sé stesso da vile piombo in oro filosofico.
Bando dunque alla superstizione e buona caccia al corvo.
Silvana Costa
L’ultimo respiro del corvo
L’omicidio Caravaggio
di Silvia Brena, Lucio Salvini
Skira, 2019
14 x 21 cm, 512 pagine, brossura
prezzo: 24,50 Euro
www.skira.net