Riccardo III

La Tragedia di Riccardo III - 3 (foto Matteo Tortora)Inaugurata la Stagione del Manzoni di Pistoia con un esperimento di compartecipazione teatrale, firmato da Renata Palminiello. Qualche luce e molte ombre.

Negli anni Sessanta e Settanta il teatro uscì dai luoghi deputati, propri della borghesia, per riversarsi nelle strade e nelle piazze, inventando festival e spettacoli itineranti, radicandosi nelle periferie, germogliando nelle cantine. E il pubblico accorse. Una platea nuova, dalle origini, status e conoscenze diverse, che approvava e applaudiva; ma partecipava attivamente anche polemizzando, dibattendo, contestando. Perché il teatro era parte integrante del vivere sociale e civile, istanza politica in un momento storico in cui si aveva coscienza che ogni atto, anche (e soprattutto) se artistico e culturale, aveva valenza politica.
A distanza di quarant’anni, il teatro, rientrato ormai nei ranghi e nelle poltrone borghesi, spesso confuso con il puro divertissement televisivo, avvilito dalle esigenze del botteghino, schiacciato sotto il peso della crisi – economica e di idee nella quale ci dibattiamo – come può riconquistare quel pubblico vasto, che andava ben oltre gli addetti ai lavori, che bazzicano il teatro contemporaneo, e le signore impellicciate che senza più velleità animaliste sono tornate a frequentare i salotti buoni della domenica pomeriggio per vedere un Bardo di maniera, interpretato dalla ex valletta del telequiz?
Un tentativo può essere quello operato dall’Associazione Teatrale Pistoiese con questo Riccardo III, che coinvolge alcuni cittadini – adulti e ragazzi – chiamati a ricoprire ruoli più o meno importanti della tragedia shakespeariana, e a collaborare dietro le quinte.
Indubbiamente, una comunità che si riappropria del teatro, partecipando direttamente a una produzione è sempre una piacevole sorpresa, un modo si spera efficace per far innamorare del teatro una nuova generazione, un’opportunità per allargare la platea a persone che, forse, non sarebbero mai entrate in un teatro. E, dal punto di vista propriamente artistico, una maniera per mettere in scena tragedie o commedie che si giovano della coralità.
Fin qui, di conseguenza, plaudiamo all’idea di Renata Palminiello e dell’ATP.
Veniamo, però, ai risultati più propriamente teatrali.
Gli abiti, in primis, a metà strada tra contemporaneo e una vaga idea di rimando costumistico, sono troppo eterogenei e mancano di qualsivoglia suggestione.
Il posizionamento della scena in platea, con il pubblico distribuito nei palchi, non facilita la comprensione dei dialoghi e monologhi. Complice una non perfetta acustica, e forse un’altrettanto imperfetta dizione (e respirazione), parti del testo scivolano via inudibili o sono, al contrario, gridate quando andrebbero sussurrate – il che rende incomprensibili gli stati d’animo, il procedere dell’azione, l’evolversi dei personaggi stessi.
L’uso della platea, sebbene motivato dal numero di comparse (i cittadini pistoiesi di cui sopra), non è particolarmente fantasioso a livello di movimenti corali, né giustificato dai parchi oggetti e attrezzi di scena (qualche tavolo e panca e una specie di seggiolone per adulti). E non è nemmeno giustificabile se si rimanda al Globe Theatre, dato che gli attori shakespeariani recitavano sul palco (che occupava solo una piccola porzione di platea) e non al centro dell’arena per galli (dove stazionava il pubblico in piedi). La visione degli spettatori era, quindi, sempre in diagonale, più o meno ad angolo acuto, e mai dall’alto (che, dalla seconda balconata, consente la vista più delle teste degli attori, che dei loro volti). In altre parole, una visione coreografica alla Esther Williams piuttosto che da teatro elisabettiano.
La recitazione, d’altronde, subisce continui mutamenti qualitativi, non solamente a causa della compresenza di professionisti e non (il che sarebbe comprensibile e scusabile, forse, oppure ovviato affidando agli attori amatoriali solo ruoli muti), ma anche perché le doti interpretative che richiedeRiccardo III sono tali da abbisognare di grandi interpreti. E il protagonista, in primis, dovrebbe possedere una duttilità vocale, una presenza psico-fisica, e una padronanza della respirazione tali da sedurre violando e violare seducendo. Non solamente Lady Anna, bensì l’intero pubblico, come lo fu Baudelaire: “Vous! Hypocrite lecteur: mon semblable! Mon frère!” – perché siamo tutti accomunati dalla seduzione del male.
Ma non c’è solo questo. Il blank verse ha bisogno di una traduzione e di una dizione precise, che ogni parola abbia un suo peso e che ciascuna sillaba sia staccata e pronunciata a dovere. Come pretendeva Jean-Marie Straub dai suoi interpreti, o come scrive Ian McKellen (magnifico protagonista della versione cinematografica del ‘95) a Richard Loncraine: “Its meter is called pentameter because their are five… feet to each line.  Each foot contains two beats, in the rhythm of the heart – de-dum – with the stress on the second beat”. Questo de-dum, questo cuore pulsante del blank verse, deve tradursi anche nell’italiano. Il medesimo lavoro va fatto sui nostri versi sciolti, che devono rispettare il ritmo interiore (scandito dalle pause e dagli accenti); e scegliendo con cura vocaboli non letterari (nel senso di antiquati), ma vivi ed espressionistici, in grado di dare al pubblico, oggi, il medesimo senso con la medesima efficacia che prevedeva il Bardo.
Inoltre, l’intero cast, in un lavoro teatrale, deve aderire a un medesimo registro interpretativo o metodo, soprattutto quando si tratti di tragedie di tale complessità, nelle quali si sovrappongono non solamente profondi ragionamenti sul potere, e/o sulla natura umana, ma anche ricercatezze linguistiche che giustificano un procedere dell’azione altrimenti impossibile (si pensi solo alla scena della seduzione di Lady Anna da parte di Riccardo III).
Forse sarebbe stato più opportuno scegliere un testo più leggero, prosastico, giocoso e pur sempre corale. O forse, per avvicinare nuovamente il pubblico al teatro, sarebbe più interessante produrre spettacoli che fanno della ricerca e della professionalità i propri punti cardine, e che poi escono dai luoghi deputati per entrare nelle scuole e invadere le piazze, portando il rito laico del teatro, officiato dai suoi sacerdoti, agli spettatori – investiti finalmente solo del proprio ruolo.
Aggiungiamo qualche riga sulla locandina della Stagione teatrale di ATP. Una locandina che ha suscitato scalpore e polemiche.
Sebbene rispettosi della libertà dell’artista, che va garantita sempre e comunque (e mai censurata, tanto meno per il comune senso del pudore – i tempi di Alberto Sordi crediamo siano passati), utilizzare il corpo nudo della donna per vendere qualcosa è ormai un cliché. E che lo faccia un teatro, che dovrebbe essere la punta di diamante del sistema culturale, spiace doppiamente. Anche perché la donna velata, come quella nuda, è pur sempre un oggetto – e questo immaginario non ci sembra il migliore da divulgare e da fare nostro.
Non convince neppure lo slogan: “La passione sfama”. Quale genere di passione? Se vedo una donna nuda che regge una pagnotta non penso al teatro, bensì alla passione carnale. L’immagine non supporta rimandi metaforici altri. E il termine sfama non vanta, a differenza di “nutre”, un senso figurato: si nutre la mente – non si sfama. Ecco, quindi, che anche il verbo non pare azzeccato, se si vuole rimandare all’importanza che può avere la cultura sia come mezzo di sostentamento per coloro che lavorino nel settore, sia come fonte di arricchimento per coloro che ne usufruiscano.
Sappiamo già che molti ci daranno dei moralisti, ma cosa direste se, al posto di questa locandina, vista anche l’importanza che l’opera e la musica classica hanno per il Manzoni di Pistoia, ci fosse stato un uomo discinto che solleva una bacchetta e lo slogan, ben augurale: “La bacchetta sfonda”?

Simona M. Frigerio

La Tragedia di Riccardo III - 3 (foto Matteo Tortora) La Tragedia di Riccardo III - 4 (foto Matteo Tortora)

Lo spettacolo continua:
Teatro Manzoni
corso Gramsci 127 – Pistoia
fino a mercoledì 12 ottobre

orari: da mar a sab ore 20.30, dom ore 16.30
lunedì riposo
www.teatridipistoia.it/teatro-manzoni/

La Tragedia di Riccardo III
adattamento e regia Renata Palminiello

movimento Elisa Cuppini
con (in ordine di apparizione) Rosanna Sfragara, Sena Lippi, Mariano Nieddu, Costantino Buttitta, Gabriele Reboni, Massimo Grigò, Sofia Busia, Daniela D’Argenio, Carolina Cangini e Jacopo Trebbi 
e con Irene Berni, Letizia Bugiani, Riccardo Ciafro, Zeno Cocchi, Nicola Maraviglia, Elena Meoni,Alessandro Nannini, Emma Novelli, Olga Novelli, Franco Paluzzi, Lucrezia Pallotti Degli Esposti, Federico Pelliccioni, Tiziano Pratesi, Moreno Scoscini, Eugenio Ulivagnoli, Silvia Venturi e
musicisti in scena Virginia Belvedere (flauto), Giulio Soldati (tromba)
luci Emiliano Pona 
consulenza musicale Massimo Caselli 
maestro di canto Marco Mustaro
assistente alla regia Matteo Tortora
armature ideate e realizzate da Francesco Silei
oggetti di scena ideati e realizzati da Liceo Artistico P. Petrocchi – Pistoia
elementi di scena realizzati da Laboratorio Scena & Tecnica Associazione Teatrale Pistoiese
una creazione che si è avvalsa della collaborazione artistica di Bruno Stori
in collaborazione con Armunia Centro di Residenza Artistica Castiglioncello
e Scuola di Musica e Danza T. Mabellini – Pistoia
produzione
Associazione Teatrale Pistoiese Centro di Produzione Teatrale 
con il sostegno di Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Regione Toscana