Alla Galleria Sabauda di Palazzo Reale a Torino, sino a metà marzo, è possibile visitare la mostra Van Dyck. Pittore di corte a cura di Maria Grazia Bernardini e Anna Maria Bava. Si tratta di un evento eccezionale per il valore dell’artista posto sotto indagine e per la fama delle opere giunte in prestito da ogni parte del mondo: autentici capolavori pubblicati sui manuali di storia dell’arte che dal vivo sorprendono anche con l’imponenza delle loro dimensioni.
All’alba del XVII secolo un’intricata rete di alleanze politiche e matrimoniali garantisce relativa pace e benessere all’Europa nonostante covino tensioni sociali e religiose. Gli artisti hanno così modo di viaggiare, studiare e confrontarsi: tra questi contiamo il fiammingo Antoon Van Dyck, appena ventenne e già conteso dai sovrani del Vecchio Continente per la sua abilità di ritrattista. Egli, in un certo senso, riscatta tale categoria di pittori, ritenuti inferiori rispetto a quanti si dedicano a soggetti storici, religiosi o mitologici cui erano richieste particolari doti di fantasia e composizione. Giovan Pietro Bellori, nell’opera Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni (1672), ipotizza addirittura che Rubens, riconosciuto il talento del giovane allievo, abbia indirizzato Van Dyck verso quel genere minore per evitarne la concorrenza.
Nelle corti seicentesche si assiste anche all’affermazione dell’assolutismo: il sovrano non è più il raffinato umanista rinascimentale perciò ritiene necessario che la sua immagine si carichi di retorica al fine di comunicare potenza e severità. Ciò che rende ambito farsi immortalare da Van Dyck è la sua abilità nel combinare i simboli del ruolo sociale e politico con una posa apparentemente naturale e spontanea, in grado di far emergere anche inclinazioni e doti dell’animo. Esempio eclatante che il pubblico può ammirare in questi giorni a Torino è il ritratto del Cardinale Guido Bentivoglio (1622/23) in cui pennellate quasi impalpabili restituiscono la raffinatezza dei merletti che bordano l’abito talare, le mille sfumature della seta rossa lucente e l’incarnato di un viso che denota una grande umanità. Van Dyck è inoltre estroso nella contestualizzazione del soggetto: fa cadere il telo in tessuto prezioso utilizzato come sfondo da tanti suoi predecessori e svela scorci paesaggistici e architettonici, popola la scena di paggi, fanciulli, animali o nature morte come nel ritratto della Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo (1623) posto in copertina al catalogo e utilizzato per la comunicazione della mostra.
Entusiasta di questa sua abilità, Re Carlo I Stuart boccia a Van Dyck tutte le sue proposte per dipinti e arazzi a sfondo storico e mitologico, obbligandolo così a concentrarsi principalmente sui ritratti suoi, della regina Enrichetta Maria e dei figli oltre che su quelli di nobildonne e aristocratici che ben interpretano gli ideali e le ambizioni della corona inglese. Quasi sposandone la linea di pensiero, per la necessità di farsi largo nella copiosa produzione di Van Dyck, anche Bernardini e Bava si focalizzano sui soli ritratti eseguiti per i sovrani, i nobili e i ricchi borghesi europei. Sebbene manchino opere afferenti al primo soggiorno inglese presso la corte di Giacomo I, nelle sale è possibile seguire l’evolversi della carriera artistica di Van Dick sino alla prematura morte a soli 42 anni; sono escluse dall’analisi le pale d’altare e le opere a tema storico mentre sono incluse Amarilli e Mirtillo (1631/32) e Teti nella fucina di Vulcano per ottenere le armi per Achille (1630/32) insieme ad altre tele a tema mitologico realizzate – con il beneplacito dell’Infanta Isabella Clara Eugenia – per conto di Frederik Hendrik, Principe d’Orange, Stadtholder dei Paesi Bassi settentrionali di fede calvinista e ostile alla Spagna.
Nel percorso della mostra, la prima sezione, Van Dyck, pittore di Anversa, allievo di Rubens, è quasi interamente dedicata a Rubens, un artista con linguaggio possente e rigoroso, già chiaramente barocco, che al suo rientro ad Anversa dall’Italia, nel 1617, prende a bottega Van Dyck. E il confronto tra i due talenti si fa ben presto inevitabile.
Nel 1621 Van Dyck, incoraggiato da Rubens, parte a dorso di cavallo alla volta dell’Italia: prima verosimile tappa è Genova dove è ospite dei fratelli De Wael, due artisti suoi conterranei. Inizia così Il viaggio in Italia: Van Dyck e la nobiltà italiana. A Genova regna il lusso e i personaggi di spicco della Repubblica fanno la fila per posare per lui garantendogli lauti guadagni che l’artista, seguendo gli insegnamenti del maestro, investe in abiti eccentrici e agi domestici per dimostrarsi all’altezza dei facoltosi clienti che di cognome fanno Balbi, Pallavicini, Cattaneo, Spinola, Giustiniani, Doria o Durazzo. Da Genova il giovane fiammingo inizia il tour – la sequenza non è ancora storicamente definita con precisione – che lo porta a Torino, Venezia, Milano, Mantova, Firenze, Roma e Palermo. In questa sezione della mostra sono presenti due focus: il primo costituito da un touch screen su cui è possibile sfogliare il taccuino di schizzi dei dipinti dei maestri italiani – l’originale, composto da 121 fogli illustrati sul recto e sul verso, è oggi custodito al British Museum di Londra – mentre il secondo è dedicato all’incontro con l’ormai novantaseienne Sofonisba Anguissola, una delle prime pittrici a emergere nel panorama artistico internazionale.
La terza sezione, Van Dyck, pittore di corte dell’Arciduchessa Isabella Clara Eugenia, narra di quando nel 1627 l’artista torna ad Anversa per sostituire Rubens impegnato all’estero in missioni diplomatiche. In città alterna l’esecuzione di ritratti a quella di scene mitologiche ispirate agli artisti della scuola veneta e di drammatiche composizioni sacre. Una sala raccoglie tre austeri ritratti dell’Arciduchessa con l’abito da clarissa indossato dopo la morte del marito, l’Arciduca Alberto VII, il 13 luglio 1621. Un’altra sala è invece interamente tappezzata di incisioni tratte dalla serie Cento uomini illustri, ambizioso progetto avviato da Van Dyck nel 1627 e portato avanti sino alla morte. Seguendo la suddivisione del volume La centuria, pubblicato postumo nel 1645, i fogli sono disposti sulle pareti in tre gruppi: principi e uomini d’arme; politici, letterati e filosofi; artisti e collezionisti.
Da qui si accede all’ultima sezione della mostra e della vita dell’artista: Van Dyck pittore di Carlo I d’Inghilterra. Il percorso di visita si conclude infatti con Il Principe Guglielmo di Nassau-Orange e la Principessa Maria Stuart in occasione del loro matrimonio avvenuto il 2 maggio 1641; Van Dyck muore il 9 dicembre di quello stesso anno, alla viglia dello scoppio della guerra civile (1642/51) che nel 1649 porta alla decapitazione del re e alla fine delle sue aspirazioni assolutistiche. Van Dyck, già artista ospite alla corte di Giacomo I, nel corso di questo nuovo soggiorno londinese esegue una lunga serie di ritratti alla famiglia reale caratterizzati da un clima di grande serenità e di domestica felicità. Esposti nella grande sala tappezzata di verde risaltano i volti di Dorothy Savage, Viscontessa di Andover, e sua sorella Elizabeth, Lady Thimbleby (1635) protagoniste di un quadro che è un inno all’amore – le due donne convoleranno a nozze dopo poco tempo – e alla bellezza femminile, un esempio di quei doppi ritratti che resero celebre Van Dyck e che fa da contraltare a Lucas e Cornelis De Wael (1627) posto in apertura dell’esposizione.
Giunti in fondo alla mostra ci rendiamo conto che l’evento rappresenta anche un meraviglioso viaggio nella storia del costume dei differenti Paesi europei. Van Dyck adatta infatti la gamma dei colori disposti sulla tavolozza al committente di turno: dai toni seriosi imposti dalla corte dei Paesi Bassi – soprattutto dopo la morte dell’Arciduca – all’elegante esplosione delle tinte squillanti scelte per le vesti dei nobili inglesi, dai ritratti a grandezza naturale eseguiti in Italia alle raffinate decorazioni delle armature dei cavalieri. A nostro parere è un ritratto equestre, quello del Principe Tommaso di Savoia Carignano (1635), il capolavoro più spettacolare dell’esposizione, vuoi per l’imponenza della posa, vuoi per la meticolosità dei dettagli. Il sovrano sabaudo, imparentato con i regnati di Spagna, Francia e Inghilterra, è pure un raffinato collezionista d’arte: negli anni precedenti l’incontro con Van Dyck inizia a raccogliere a Palazzo dipinti e sculture di grande interesse artistico e non può quindi mancare l’occasione di ospitare a Torino cotale genio. È interessante, al termine della visita, salire al primo piano del Palazzo e vistare la Galleria Sabauda per cogliere le tracce del soggiorno – e dello stile – del Maestro fiammingo riflesse nelle opere dei pittori suoi contemporanei.
Silvana Costa
La mostra continua:
Musei Reali – Sale Palatine della Galleria Sabauda
piazzetta Reale 1 – Torino
fino a domenica 17 marzo 2019
orari: lunedì 9 –19 (ultimo ingresso ore 18) – ingresso da via XX settembre, 86
da martedì a domenica 9-19 (ultimo ingresso ore 18) – ingresso piazzetta Reale, 1
www.museireali.beniculturali.it
Van Dyck. Pittore di corte
a cura di Maria Grazia Bernardini, Anna Maria Bava
progetto allestimento Cesare Mari – PANSTUDIO architetti associati con Carlotta Mari
grafica di mostra e grafica immagine coordinata Angela Scatigna con Doretta Rinaldi
progetto illuminotecnico Studio Quintiliani Murano
una mostra Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Musei Reali di Torino, Gruppo Arthemisia
con il Patrocinio di Regione Piemonte, Città di Torino
www.mostravandyck.itCatalogo:
Van Dyck. Pittore di corte
a cura di Maria Grazia Bernardini, Anna Maria Bava
testi di Anna Maria Bava, Maria Grazia Bernardini, Piero Boccardo, Christopher Brown, Blaise Ducos, Maria Beatrice Fai Ila, Karen Hearn, Andrea Merlotti, Anna Orlando, Gelsomina Spione, Katlijne Van der Stighelen
Arthemisia Books, 2018
prezzo: 53,00 Euro
www.arthemisia.it